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Lucio Leoni torna con “dove sei pt.1”

Brillante, eclettico e visionario. Lucio Leoni è il cantautore di cui tutti abbiamo bisogno: riesce a spaziare con ironia e fantasia dalla tradizione popolare al rap, dal folk alla canzone d’autore, approdando a uno stile proprio e riconoscibile che sintetizza poesia, teatro-canzone e sperimentazioni sonore.

Se siete alla ricerca di un disco che vi conquisti sin dal primo ascolto e in cui ritrovarvi, allora Dove sei pt. 1 farà sicuramente al caso vostro. Anticipato dal singolo Il sorpasso, Dove sei è il capitolo finale di una trilogia iniziata con Lorem ipsum – Gli spazi comunicativi (2015) e proseguita con Il lupo cattivo – Il bosco da attraversare (2017). Questa volta la scelta del titolo dell’album non ci fornisce alcuna indicazione sul suo contenuto: nessun segno di interpunzione, né un sottotesto con riferimenti spaziali. Ma ascoltando i brani del nuovo album di Lucio Leoni sono tantissime le domande che mi viene voglia di fargli: in attesa dell’uscita di Dove sei pt.2 ( autunno 2020) lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato i retroscena del suo nuovo lavoro. Mettetevi comodi!

Dove sei è una domanda provocatoria o una risposta artistica? Mi piace lasciare molto spazio all’interpretazione di chi mi ascolta. Dal mio punto di vista questo titolo è una risposta a tutte le domande che ci sono dentro, ma è comunque un gioco provocatorio, perché le risposte che do io non sono altro che ulteriori domande…

Allora adesso te lo chiedo io. Dove sei? Bella domanda! E’ buffo, perché magari fino a due mesi fa avevo un’idea più precisa, ma adesso è cambiato tutto e bisognerà abituarsi a ritmi e giornate diverse, per cui è tutto un po’ da ripensare. Diciamo che artisticamente, arrivato ai 40 anni, credo di essere a un punto in cui comincio a identificare una sorta di stile e ad avere chiari i miei punti di forza e i miei punti deboli.

Sui social hai simpaticamente scritto “In piena fase 2 esce Dove sei pt. 1. In piena fase 3 uscirà Dove sei pt. 2. Sempre un passo indietro”. Ti senti sempre un passo indietro a tutto il resto? E’ il mio modo per dire “resto umile” che va tanto di moda e mi fa ridere tanto. Mi piace sdrammatizzare sempre su tutta la linea, cerco di non prendermi mai veramente sul serio. Nonostante la musica abbia un’importanza gigante nelle nostre vite alla fine non dobbiamo mai dimenticare che è sempre un gioco.

Nel tuo album hai collaborato con C.U.B.A Cabbal, Francesco di Bella e Andrea Cosentino. Come sono nate queste collaborazioni? Andrea Cosentino è un amico che conosco da tempo. Mi è capitato di vedere un suo spettacolo nel quale snocciolava questo monologo che è il testo di Mi dai dei soldi. Ne sono stato folgorato subito e a fine spettacolo gli ho detto che il testo era clamoroso e volevo farne una canzone. Anche Francesco è un amico, ci conosciamo da un po’ di anni. Mi serviva una voce che avesse una profondità infinita e la sua era perfetta per Dedica. Il fatto che abbia voluto partecipare mi ha reso davvero orgoglioso. C.U.B.A invece non lo conoscevo, ma sono un grande amante della cultura hip hop e lui è uno dei miei idoli adolescenziali. Dopo aver trovato il suo numero (in maniera molto losca) l’ho chiamato e gli ho chiesto questo favore. Evidentemente si sarà mosso a compassione, perché sennò non si spiega…

In che senso hai trovato il numero in maniera losca? Tramite “amici di amici, di amici, di amici”… il metodo delle grandi separazioni!

Ne il Sorpasso, Dedica e Atomizzazione riprendi dei temi già presenti in A me mi: c’è questa presa di coscienza dell’essere diventati adulti (ma non troppo) e di essere un nativo analogico che vive tra nativi digitali, ma non è (di fatto) né l’uno e né l’altro. Secondo te, questa generazione di mezzo alla quale anche tu appartieni è più privilegiata (perché ha una visione delle cose più ampia) o è semplicemente più sfigata (perché è un ibrido)? Siamo sicuramente una generazione super fortunata, ma a ogni decade ci è cascato il mondo intorno. Quando avevo 10 anni è stato abbattuto il muro di Berlino, a 20 sono venute giù le Torri gemelle; a 30 anni è esplosa la più grande crisi finanziaria e adesso, alle soglie dei 40 è arrivata la pandemia. Forse non siamo una generazione fortunata dal punto di vista della stabilità del processo socio-economico, ma non mi sento di dire che siamo sfortunati, perché dopotutto viviamo in maniera privilegiata rispetto ad altre generazioni.

Come hai vissuto questo periodo di quarantena e quale futuro vedi per la musica? L’ho vissuto con fatica, è stato un periodo in cui non sono riuscito nemmeno a mettermi in una posizione ricreativa e produttiva. Per il futuro sono un po’ preoccupato, credo che ci troveremo tutti ad affrontare delle lotte per ricostruire un tessuto collettivo del mondo dello spettacolo. Sarà dura, ma si dovrà cominciare a discutere di politica della musica e di forme di tutela che di fatto non ci sono: la pandemia ha solo rivelato queste falle nel sistema.

La prima parte del disco è uscita l’8 maggio 2020. La seconda parte arriverà in autunno. Come mai hai deciso di dividere l’uscita del disco in due parti? La decisione di dividere l’album nasce dalla necessità di alleggerire e spezzare il disco, che poteva risultare un po’ troppo prolisso nel suo insieme. Abbiamo quindi pensato di spezzare l’album per conferire maggior respiro e lasciar sedimentare le canzoni un po’ di più.

Cosa dobbiamo aspettarci dalla seconda parte del disco? Il disco è concepito come unico, anche se diviso in due parti, quindi le tematiche e gli immaginari sonori saranno simili. Ma ci sono delle canzoni molto belle che mi è dispiaciuto non poter tirar fuori adesso, perciò sono molto curioso di vedere come verranno accolte.

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