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Coming (very) soon. Le uscite di maggio con Norah Jones, Bon Jovi e The Killers

Doveva essere il mese dei primi eventi all’aperto, delle prime tappe dei tour estivi e dell’Eurovision, ma questo maggio 2020 non sarà niente di tutto questo. Il prolungamento delle misure per il contenimento del virus hanno definitivamente spazzato via ogni speranza di tornare ad ascoltare musica dal vivo nel breve periodo. Per fortuna questa primavera sarà costellata di molte uscite degne di nota e, per molte di queste, noi di SLQS non vedevamo l’ora!

Inauguriamo maggio con Such Pretty Forks in the Road, l’attesissimo nuovo album in studio della cantautrice canadese Alanis Morissette, in uscita questo venerdì primo maggio a otto anni dall’uscita dell’ultimo album di inediti. Il disco è stato anticipato già lo scorso dicembre dal singolo Reasons I Drink, un pezzo ruvido e trascinante in cui Alanis sembra proprio quella di sempre. Esce il primo maggio anche Gaslighter, il nuovo album del gruppo country statunitense Dixie Chicks, tornate in studio dopo ben 13 anni. Venerdì 8 maggio è invece prevista l’uscita di Petals for Armor, il disco che segna il debutto da solista di Hayley Williams, voce dei Paramore. L’album è stato anticipato da due EP, Petals for Armor I e Petals for Armor II, usciti rispettivamente a gennaio e aprile.

Venerdì 15 maggio è una giornata di grandi uscite. Tornano infatti i Bon Jovi con Bon Jovi: 2020. Si tratta del quindicesimo album in studio per la band del New Jersey e conterrà il singolo Limitless, uscito lo scorso febbraio e già una hit. Esce il 15 maggio anche Van Weezer dei Weezer, un disco che, a detta del frontman Rivers Cuomo, riporterà la band a una dimensione decisamente hard-rock. L’uscita del disco avrebbe anticipato l’attesissimo Hella Mega Tour, il tour che la band di Los Angeles avrebbe portato in giro per il mondo insieme ai colleghi Green Day e Fall Out Boy, il cui destino è al momento incerto. Dulcis in fundo, lo stesso venerdì esce Pick me up off the Floor, di Norah Jones, già anticipato dal singolo I’m Alive. Un album piuttosto dark, che per tematica si colloca splendidamente in questo momento storico: è infatti incentrato sulla solitudine e sul bisogno di connessione tra gli esseri umani. Non vediamo l’ora di ascoltarlo!

Italianissima l’uscita del 22 maggio che vi segnaliamo. Si tratta del cofanetto Fabrizio De Andrè e PFM: Il concerto ritrovato. Il concerto ritrovato é il celebre live di Genova del 1979 in cui Fabrizio De Andrè si esibì con PFM. Le immagini sono state recuperate, restaurate e proposte nelle sale cinematografiche lo scorso febbraio, riscuotendo grande successo. Il cofanetto, pubblicato da Sony Music, uscirà in doppio formato: CD con libretto e doppio LP. Esce lo stesso giorno anche Notes on a Conditional Form della band inglese The 1975, un progetto che si preannuncia molto interessante. Particolare la scelta di aprire l’album con la canzone di protesta chiamata The 1975, brano in cui un pianoforte accompagna un discorso dell’attivista Greta Thunberg sulla responsabilità che ognuno di noi ha nella lotta al cambiamento climatico.

Il 29 maggio è la volta di un altro cofanetto: esce Bowie Years del grande Iggy Pop, contenente le versioni rimasterizzate degli album realizzati in collaborazione con il Duca bianco e altre rarità. Questo mese pieno di uscite si chiude con l’attesissimo ritorno dei The Killers con il loro sesto album in studio Imploding the Mirage, inciso tra l’Utah e la California e anticipato a marzo dal singolo Caution.

Ora tocca a voi! Quali album non vedete l’ora di ascoltare? Ci sono altre uscite che vi piacerebbe segnalarci?

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‘Father of All…’. Il nuovo album dei Green Day ci riporta nel 2004

Uscito lo scorso 7 febbraio, Father of All Motherf*****s (anche conosciuto con il titolo censurato Father of All…) è il tredicesimo album in studio dei Green Day, definito ‘very high energy’ dal frontman della band Billie Joe Armstrong in un’intervista rilasciata a Billboard.

La copertina dell’album ritrae una mano che stringe una granata: è la stessa immagine della copertina di American Idiot, lo straordinario disco del 2004 che ebbe un effetto devastante sulla ragazzina che ero all’epoca – riuscendo infatti a influenzare gran parte dei gusti musicali e delle idee sulla musica che ho ancora oggi. Cosa avrà Father of All… a che fare con American Idiot? E’ possibile che il nuovo disco riprenda a raccontarci la storia che si è interrotta con la nona traccia di American Idiot? C’è speranza di rincontrare St. Jimmy, Whatsername e il Gesù dei sobborghi?

In Father of All… non incontriamo nessun volto familiare ma è chiaro che con certe linee di basso, certe atmosfere e certe tematiche i Green Day abbiano cercato disperatamente di riportarci al lontano 2004 (e in alcuni casi anche agli anni precedenti). Ma vediamo i brani nel dettaglio.

La prima traccia Father of All… è il singolo che nel settembre 2019 ha anticipato l’album. Un pezzo punk in your face cantato in falsetto che ti fa venire voglia di alzarti dalla sedia (è uno dei miei pezzi preferiti quando ho il leg day in palestra). La traccia numero due Fire, Ready, Aim è stata utilizzata per l’apertura della National Hockey League. La frase ‘Ready, Aim, Fire’ è usata come indicazione per i soldati su come usare le armi da fuoco ma il problema, scrivono i Green Day nella descrizione del videoclip della canzone su Youtube, è che nella società di oggi si attacca senza prima pensare. Il tema della critica alla società americana che era iniziato in Warning e che era diventato il fulcro di American Idiot si insinua quindi anche in questo album.

La terza canzone, Oh Yeah! prende titolo e ritornello da Do you wanna touch me? (Oh yeah) di Gary Glitters. Stavolta la critica è rivolta alla società tenuta in pugno dai social media (Everybody is a star\ Got my money and I’m feeling kinda low) e dai problemi legati al sistema scolastico e alla detenzione di armi (I’m just a face in the crowd of spectators\ To the sound of the voice of a traitor \ Dirty looks and I’m looking for a payback\ Burning books in a bulletproof backpack). L’atmosfera si fa più leggera e allegra in Meet me on the roof, brano in cui Billie Joe ritorna adolescente sfigato che ha paura di fare la prima mossa con la ragazza che gli piace. Anche nella traccia successiva, I was a teenage teenager, Billie Joe canta dei sentimenti di odio e inadeguatezza della propria adolescenza (I was a teenage teenager full of piss and vinegar \ Living like a prisoner for haters\ I was a teenage teenager, I am an alien visitor \ My life’s a mess and school is just for suckers), sentimenti che erano stati al centro di album come Dookie e Nimrod.

La settima traccia, Stab you in the heart, è una vera sorpresa ma non ho ancora ben chiaro se è bella o brutta. Si tratta di un pezzo incazzato e rockabilly in cui i Green Day giocano a fare i Beatles e vi assicuro che non riesco a descriverla meglio (ascoltare per credere). Il nono brano, Sugar Youth, ricorda terribilmente il brano She’s a rebel di American Idiot e somiglia vagamente anche a Letterbomb. Ancora una volta Billie Joe si trasforma nell’adolescente senza speranze dei primi album (Like a high school loser \That will never ever, ever, ever fuck the prom queen). Arriviamo finalmente a Junkies on a High, la mia preferita di tutto l’album. E’ un brano dark sul tema della distruzione di sè, un brano che ti rimane nella testa e che francamente c’entra poco con il resto dell’album. La linea di basso è quasi identica a quella di Boulevard of Broken Dreams. La traccia numero undici è Take my money and crawl, un brano innegabilmente catchy e in puro stile Green Day ma che non mi dice molto. Chiude Graffitia, la canzone più impegnata dell’album e più spiccatamente politica sulla situazione di declino nelle città della Rust Belt dovuto alla chiusura delle fabbriche, la questione razziale e la violenza che ne deriva.

Cosa penso di Father of All…? L’energia c’è, ma è un album che corre troppo, arraffa, comprime. Sembra voler dire molto, ma di fatto dice poco. Sembra provare a dirci qualcosa di nuovo, ma quello che sentiamo in fondo lo sappiamo già. E’ un album breve fatto di cose già viste, troppo lontano dal monumentale American Idiot, del quale non può per altro assolutamente essere considerato l’erede o il sequel.

E’ chiaro che la band abbia tentato di racchiudere in questi 26 minuti tutto quello che i Green Day sono stati in American Idiot e prima, ma finisce per mettere insieme una serie di cliché spesso mal amalgamati tra loro, uniti a qualche tentativo di innovazione non perfettamente riuscito. Resta comunque un album piacevole da ascoltare, in cui la band rimane riconoscibile per noi fan che li abbiamo ascoltati e amati a cavallo tra il nuovo e il vecchio millennio.

E voi l’avete ascoltato?

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‘Father of All…’. The new Green Day album takes us back to 2004

Released on February 7th, Father of All Motherf*****s (also known as Father of All…) is Green Day’s thirteenth studio album, described as ‘very high energy’ by frontman Billie Joe Armstrong during an interview with Billboard.

On the cover there’s a hand holding a grenade: it’s the same image that appears on the cover of American Idiot, the extraordinary 2004 record that had a huge impact on the little girl I was at that time – influencing a big part of my taste and my ideas about music. What does Father of All… have to do with American Idiot? Is it possible that this new record someway resumes the story that got interrupted in the ninth track of American Idiot? Can we hope to meet St. Jimmy, Whatsername and Jesus of Suburbia once again?

We meet no familiar faces in Father of All… but it is clear that Green Day has tried to bring us back to 2004 (and in some cases even back to the previous years) by choosing certain bass lines, certain atmospheres and certain themes.
Let’s have a close look at the tracks.

The first track, named Father of All, is the single, released in september 2019, that anticipated the album. It’s a falsetto sung punk song in your face that makes you want to stand up (it’s my personal favourite when I have leg day at the gym). Track number two, Fire, Ready, Aim, has been used for the opening of the National Hockey League. The phrase ‘Ready, aim, fire’ is an instruction given to soldiers on how to use their weapons but the problem, writes Green Day in the video description on youtube, is that today’s society attacks without even thinking. The tale of criticism towards the American society that had started in Warning and that had been at the core of American Idiot is also present in this album.

The third song, Oh Yeah! samples the refrain from Gary Glitters’ Do you wanna touch me? (Oh yeah). The band criticizes the part of society that’s obsessed with social media (Everybody is a star\ Got my money and I’m feeling kinda low) and adresses the problems of the American school system and the consequences of gun detention (I’m just a face in the crowd of spectators\ To the sound of the voice of a traitor \ Dirty looks and I’m looking for a payback\ Burning books in a bulletproof backpack). The atmosphere gets lighter and happier in Meet me on the roof, a song in which Billie Joe gets back to the times when he was a teenage loser and felt anxious about asking the girl out. Also in the following track, I was a teenage teenager, Billie Joe sings about the feelings of hate and inadequacy of his own adolescence (I was a teenage teenager full of piss and vinegar \ Living like a prisoner for haters\ I was a teenage teenager, I am an alien visitor \ My life’s a mess and school is just for suckers), feelings that had been at the core of albums like Dookie and Nimrod.

The seventh track, Stab you in the Heart, is a true surprise, even though I still don’t know if it’s a good or a bad one. It’s an angry, rockabilly song in which Green Day pretend to be The Beatles – and I swear I could not describe it in a better way (listen and you’ll know). The ninth song, Sugar Youth, reminds me a lot of She’s a Rebel from American Idiot but it also sounds a lot like Letterbomb. Once again Billie Joe turns into the hopeless teenage boy of the first albums (Like a high school loser \That will never ever, ever, ever fuck the prom queen). We finally get to Junkies on a High, my favourite song of the entire album. It’s a dark song about self destruction, a song that gets stuck in your head and which, honestly, has nothing to do with the rest of the album. The bass line is almost identical to the one of Boulevard of Broken Dreams. Track number eleven is Take my money and crawl, an undeniably catchy and oh-so-Green-Day song that doesn’t add much to the album. The last song is Graffitia, the most political one of the album, about the situation of decline in the cities of the Rust Belt due the closing of the factories, but it also addresses the racial questions and the violence that derives from them.

What do I think about Father of All…? There is a lot of energy, but it’s an album that runs to much, sneaks and compresses. It sounds like it is trying to say a lot, but it ends up saying too little. It sounds like it is trying to say something new, but all we hear is something we already know. It’s a short album made of things we’ve already seen, too far from the monumental American Idiot of which it cannot be considered a sequel or a heir.

It is clear that the band has tried to enclose in these 26 minutes all that Green Day has been in American Idiot and before, but they end up putting together a series of cliches – often not mixed well at all – together with a couple of innovative attempts that haven’t really worked. Despite all of this, Father of All… is a nice record in which the band is still recognizable for us fans that have been loving them and listening to them between the old and the new millennium.

And you? Have you listened to it?

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Piero Pelù, gigante e pugile fragile

40 anni di carriera e non sentirli affatto. Piero Pelù festeggia questo traguardo con il nuovo album, Pugili fragili, e a pochi giorni dall’uscita è già al 6 posto della Italian iTunes Charts

Se ascoltate il nuovo album da solista di Piero Pelù aspettandovi di sentire i Litfiba che furono, vi dico già che potreste rimanere davvero delusi. L’esibizione sanremese (la prima in assoluto in 40 anni di carriera) mi aveva davvero stupito: un’ energia senza pari, voce cupa e vibrante, una canzone orecchiabile che mi è subito entrata in testa.

Lo hanno definito un animale da palcoscenico, proprio per sottolineare che, quando canta dal vivo, Piero ti trasmette più di quello che ti aspetti. Ed è proprio questa la formula del suo successo, accompagnata da una perenne voglia di cambiare pelle. E questa trasformazione la si avverte già dalla copertina: le braccia sono tatuate con squame di serpente, pronto all’ennesimo cambio di pelle.

Bene. Tutta questa premessa è per spiegarvi che al primo ascolto l’album lo detesterete. Sul serio. Un calderone di temi (ecologia, avere vent’anni, violenza di genere, razzismo) e una commistione di generi che cozzano tra loro (elettronica e classic rock). Ma l’intento di Pelù era proprio questo: toccare tutti i generi musicali della carriera dei Litfiba, mescolarli e creare delle canzoni che potessero arrivare a tutti. Il risultato è che si ha l’impressione che per far contento il pubblico Piero Pelù si sia un po’ troppo commercializzato. Sta di fatto che su 10 canzoni a me ne sono piaciute due: Nata Libera – testo bellissimo e atmosfere dark- e Canicola – batteria incalzante e ritmo trascinante.

Al secondo ascolto noterete citazioni tra il sacro e il profano (Cecco Angiolieri, De Chirico e Ozzy Osbourne), vi accorgerete che ci sono delle parti cantate in stile Fabrizio De André e vi direte che tutto sommato la collaborazione con Andrea Appino in Fossi foco non è per niente male.

Al terzo ascolto inizierete a canticchiarle più o meno tutte, ma continuerete a evitare Luna nuda, perché ascoltarla una volta è anche troppo.

Nel desolante panorama della scena rock italiana Piero Pelù è sicuramente un faro, ma con Pugili fragili ho l’impressione che non si vada in nessuna direzione particolare. La carriera solista del ragazzaccio fiorentino sicuramente non è ai livelli di quella del suo passato con i Litfiba, ma sarebbe anche anacronistico pretendere di raccontare la realtà di oggi con gli occhi e le orecchie di ieri. Scordatevi la complessità dei testi di una volta, dimenticatevi la chitarra di Ghigo (sigh!), concentratevi solo su quello che state ascoltando. Piero Pelù a 58 anni è finalmente libero di essere se stesso, cantare quello che gli pare e ripulire le spiagge italiane dalla plastica con il sottofondo di Picnic all’inferno.

Tracce:

1. Picnic all’ inferno

2. Gigante

3.Ferro caldo

4.Pugili fragili

5.Luna nuda

6.Cuore matto (cover di Sanremo)

7.Nata libera

8.Fossi foco

9.Stereo santo

10.Canicola

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