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Musica da brividi (prima parte)

Nel mondo della musica ci sono davvero tantissimi aneddoti da brivido, ma molto spesso si tratta di leggende metropolitane. In questo articolo parliamo invece di alcuni episodi cruenti che sono stati oggetto di cronaca. (English version below)

Helter Skelter e la follia di Charles Manson

In C’era una volta… a Hollywood Tarantino ha provato a immaginare un finale alternativo al massacro di Cielo Drive. Ma la finzione filmica non è altrettanto mostruosa quanto lo è stata la realtà. La notte tra il 9 e il 10 agosto 1969 la family di Charles Manson si introduce nella villa dei coniugi LaBianca e compie una strage. Tra le vittime c’è anche l’attrice Sharon Tate, moglie del regista Roman Polansky che ha appena girato un film sulla venuta al mondo dell’ anticristo, Rosemary’s Baby (e già qua…brividi). Sharon è anche incinta, ma questo non ferma la furia omicida dei killer che sgozzano e sventrano tutti, in preda a una follia delirante simile a una giostra vorticosa (Helter Skelter è il nome di un attrazione da Luna Park). La scritta campeggia sul frigorifero dei LaBianca ed è stata tracciata con il sangue delle vittime. Manson dichiarerà di aver ascoltato ossessivamente White Album dei Beatles e di aver compreso che in realtà il testo di Helter Skelter preannunci una profezia su un imminente scontro razziale, nel quale i neri avrebbero avuto la meglio sui bianchi.

I Led Zeppelin e Boleskine House

In Scozia, sulle rive del lago di Loch Ness, sorge una residenza misteriosa, Boleskine House. La villa era appartenuta a un famoso occultista, Edward Alexander, più conosciuto come Aleister Crowley, il fondatore del satanismo moderno. Pare che in quella casa Crowley abbia celebrato riti di magia nera e che abbia scritto numerosi libri di esoterismo sotto dettatura da parte dei demoni. Già questo avrebbe dovuto essere un monito per tenersi alla larga dalla “casa stregata”, ma evidentemente non era abbastanza per un grande seguace di Crowley come Jimmy Page, che nel 1970 decide di acquistare la tenuta per farne la propria dimora. Ebbene la storia dei Led Zeppelin sembra sottilmente legata alla villa in questione. Negli anni a seguire oltre al successo, infatti, non mancheranno i tour mondiali annullati a causa di strani incidenti e lutti. Tra gli episodi più inquietanti ce ne sono tre che meritano attenzione: nel 1977 Robert Plant, dopo essersi appena ripreso da un incidente mortale in macchina, avvenuto due anni prima, subisce anche la perdita del secondogenito Karac, morto a causa di un’infezione alle vie respiratorie. Plant scrive All of my Love e la dedica al bambino, scomparso a soli 5 anni. Nel 1978 i Led Zeppelin sono sconvolti dalla notizia della morte di Sandy Denny, la cantautrice folk inglese che aveva duettato con Plant nel brano The Battle of Evermore. In ultimo, nel 1980 la morte del batterista John Bonham (avvenuta proprio a Boleskine House) porta allo scioglimento definitivo del gruppo e Jimmy Page in tribunale. Il chitarrista era stato accusato di aver officiato un rito sacrificale davanti al corpo dell’ amico John. Page querela tutti e vince la causa, ma decide che è arrivato il momento di vendere la casa.

Vatican in flames

Schweigaards gate, 56 è l’indirizzo a Oslo di un famoso negozio di dischi, l’Helvete (l’inferno secondo la mitologia scandinava). In questo negozio, negli anni 90, prende piede il Black Metal Inner Circle, un circolo frequentato da vari musicisti della scena black metal scandinava. A fondarlo è Euronymous, chitarrista dei Mayhem, una delle personalità più carismatiche e inquietanti nell’ambiente metal. A frequentare il circolo ci sono dei veri e propri seguaci di Satana, che professano un satanismo vendicativo e anticristiano. I cristiani, secondo l’Inner Circle, sono visti come usurpatori dello spirito genuino della Scandinavia, che è pagana. Tra il 1992 e il 1996 in Norvegia prendono fuoco circa 50 chiese cristiane, tutte in legno, e non vengono risparmiati neanche i cimiteri, con la profanazione di circa 15 mila tombe, i cui arredi vengono portati all’ Helvete ed esposti come trofei. Le foto delle chiese fumanti finiscono addirittura sulle copertine dei dischi dei Mayhem e dei Burzum, e per 4 di questi roghi viene perseguito e condannato Varg Vikernes dei Burzum. Oltre ai roghi e alle profanazioni iniziano a emergere anche differenze sulle linee di condotta tra i vari gruppi metal. La linea di Euronymous è più dura, il satanismo è parte integrante dell’azione degli adepti dell’ Inner Circle. Euronymous non accetta compromessi e di conseguenza taglia fuori gli elementi scomodi. Agli atti vandalici si susseguono tentati omicidi, bombe e suicidi, come quello nel 1991 di Per Yngve Ohlin (detto Dead) cantante dei Mayhem. Tra i primi a giungere sul posto c’è proprio il suo “amico” Euronymous, il quale, ancora prima di chiamare i soccorsi, decide bene di scattare una foto al cadavere di Dead. La foto -modificata graficamente- finisce sulla copertina del bootleg Dawn of the Black Hearts. Ma chi la fa l’aspetti: nel 1993 Euronymous viene ucciso da Varg Vikernes. In seguito a un’ accesa discussione tra i due Varg, ferito da Euronymous, lo massacra e lo uccide utilizzando diversi coltelli dai quali non si separa mai. Dichiarerà di aver agito per legittima difes. Mors tua vita mea. Il tribunale non gli crede e finisce in galera, condannato a 21 anni di carcere, il massimo della pena in Norvegia. Dal 2009 è in libertà vigilata, continua a professare idee estreme ed è diventato padre di ben otto figli.

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Creepy music (part one)

The world of the music is full of creepy anecdotes, but often they are only urban legends. In this article we tell, instead, about some bloody episodes that have been the subject of news.

Helter Skelter and Charles Manson’s madness

In Once Upon a Time… in Hollywood! Tarantino tried to imagine an alternative ending to the massacre of Cielo Drive. But film fiction isn’t nearly monstrous as reality has been. On the night between the 9th and 10th of August 1969, Charles Manson’s family broke into LaBianca residence, and carried out a massacre. Among the victims, there was also the actress Sharon Tate, Roman Polansky’s wife. The director has just shot a film, Rosemary’s Baby, about the born of the Antichrist (and already here… chills!). Sharon was also pregnant, but this didn’t stop the murderous fury of the killers, who slaughtered and disemboweled everyone, prey to a delusional madness similar to a whirlwind carousel (Helter Skelter is the name of an attraction from Luna Park). The writing stood out on the LaBianca refrigerator and was traced with the blood of the victims. Manson claims to have obsessively listened to the Beatles’ White Album and to have understood that in reality the text of Helter Skelter heralds a prophecy about an imminent racial confrontation, in which Blacks would have prevailed over Whites.

The Led Zeppelin and Boleskine House

In Scotland, on the shores of Loch Ness Lake, there is a mysterious residence, Boleskine House. The mansion belonged to a famous occultist, Edward Alexander, better known as Aleister Crowley, the founder of modern Satanism. It seems that Crowley celebrated dark magic rituals in that house and wrote many esoteric books under demoniac dictation. That should already have been a warning to stay away from the “haunted house”, but obviously it was not enough for a great follower of Crowley like Jimmy Page, who in 1970 decided to buy the estate to make it his home. Well, the history of Led Zeppelin seems subtly linked to Boleskine House. In the following years, in addition to success, in fact, there will be world tours canceled due to strange accidents and grief. Among the most disturbing episodes, three of them deserve attention: in 1977 Robert Plant, after having just recovered from a fatal car accident, which occurred two years earlier, also suffered the loss of his second son Karac, who died from a respiratory infection. Plant wrote All of my Love and dedicated it to his son, who passed away at the age of 5. In 1978 Led Zeppelin were shocked by the news of the death of Sandy Denny, the English folk songwriter, who had dueted with Plant in the song The Battle of Evermore. Finally, in 1980 the death of their drummer John Bonham (which took place in Boleskine House) leads to the definitive dissolution of the group and Jimmy Page to court. The guitarist had been accused of having performed a sacrificial ritual in front of the body of his friend John. Page sued everyone and won the case, but decided to sell the house.

Vatican in Flames

Schweigaards gate, 56 is the address of a famous record shop in Oslo, Helvete (the hell, according to Scandinavian mythology). In this shop, during the 90s, took hold the Black Metal Inner Circle, a club frequented by various musicians of the Scandinavian black metal scene. It was founded by Euronymous, guitarist of Mayhem, one of the most charismatic and disturbing personalities in the metal music environment. True Satan’s worshippers joined the club, who professed a vengeful and anti-Christian Satanism. Christians, according to Inner Circle members’ opinion, were seen as usurpers of the true Scandinavian spirit, which was pagan. Between 1992 and 1996, about 50 Christian churches were burnt in Norway, all made of wood, and neither cemeteries were spared, with the desecration of about 15 thousand tombs, whose furnishings were brought to Helvete and exhibited as trophies. The photos of the smoking churches even ended up on the covers of the Mayhem and Burzum records, and for 4 of these fires Varg Vikernes from Burzum is prosecuted and condemned. In addition to the bonfires and desecrations, differences also emerge on the lines of conduct between the various metal groups. Euronymous’s line is harder, Satanism is an integral part of the action of the Inner Circle adepts. Euronymous doesn’t accept compromises and consequently cuts out inconvenient elements. Vandalism is followed by attempted murders, bombs and suicides, such as the 1991 Mayhem singer Per Yngve Ohlin (called Dead). Among the first to arrive on the spot is his “friend” Euronymous, who, even before calling for help, decided well to take a photo of Dead’s corpse. The photo – graphically modified – ended up on the cover of the bootleg Dawn of the Black Hearts. But in 1993 Euronymous was killed by Varg Vikernes. Following a heated discussion between the two, Varg, injured by Euronymous, massacred and killed him using several knives from which he never separated. He will declare that he acted in legitimate defense. The court didn’t believe him and Vikernes ended up in jail, sentenced to 21 years in prison, the maximum sentence in Norway. Since 2009 he has been on probation, continues to profess extreme ideas and became father of eight children.

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Hey Joe!

Hey Joe! You better run down

Goodbye everybody, ow!

(fotografie di Vincenzo Lauro)

Avete presente quelle persone silenziose, sempre un po’ in disparte, di cui ti accorgi dell’assenza solo quando se ne sono andate?

Ecco, è successo proprio lunedì. E’ andato via un pezzo di musica e non tutti se ne sono accorti. Lo ha fatto senza troppo clamore, mentre noi distrattamente condividevamo l’ennesima fake news sui social. Lo ha fatto senza che ce ne accorgessimo, perché anche se adesso non abbiamo scuse per distrarci, il nostro interesse verte su altro.

Giuseppe “Joe” Amoruso è stato un grande della musica. Aveva da poco compiuto 60 anni, ma da qualche anno aveva problemi di salute che lo avevano costretto al ricovero in clinica. Tutti lo conoscevano semplicemente come Joe, soprannome che gli americani della base Nato di Bagnoli gli avevano assegnato quando suonava con loro. A quel tempo Joe aveva 20 anni, ma quel nome gli resterà attaccato per i successivi 40 anni, il tempo di fare la storia della musica napoletana degli ultimi decenni fino a oggi.

E’ stato il tastierista storico di Pino Daniele, in quella formazione unica che ha dato vita al Neapolitan Power. Ma non solo: avete presente Toffee di Vasco Rossi? Alle tastiere c’è proprio Joe Amoruso. Tantissime le collaborazioni nella sua proficua carriera: solo per citarne alcune, in Italia ha suonato con Andrea Bocelli, Zucchero, Ornella Vanoni e la PFM; all’ estero con Billy Cobham, Mike Stern e Gato Barbieri.

Negli anni ’70 e ’80 è stato uno degli esponenti del Neapolitan Power, insieme a Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo e James Senese. La band di Pino Daniele ha dato vita a un movimento blues che recuperava gli elementi identitari del Mezzogiorno d’Italia e della città di Napoli e li mescolava a linguaggi differenti ( ritmi e testi americanizzati). Il risultato era un ibrido che restituiva un’immagine che aveva poco a che fare con il cliché della Napoli da cartolina: il Neapolitan Power era un modo di dare voce a chi voce non aveva, come il disoccupato, l’operaio, il vedovo o il transgender. E Joe Amoruso con le sue dita è riuscito a comporre quelle note di “rabbia e rivoluzione” rimanendo in maniera indelebile nella storia della musica di un popolo che, nella storia generale, continua a vivere di rivoluzione.

Su Facebook i familiari hanno confermato la morte del musicista con un post: «Il suo grande cuore non ha retto. Dio ha deciso che il suo percorso di vita e di musica finisse qui. Ma è stata solo la prima parte, il suo viaggio continuerà sereno e le sue mani voleranno ancora più leggere sulle ali della musica. Sappiate che vi abbraccia tutti. Lo sappiamo perché lui stesso negli ultimi mesi, attraverso la sua grande sensibilità, ci aveva detto di sentire vicino il suo momento e quindi voleva ringraziare tutti quelli che gli sono stati vicino in questi mesi e che gli hanno voluto bene. Ma non ci lascerà mai completamente, ogni volta che vorremmo potremo ascoltare il suo pianoforte e lui sarà lì vicino a noi»

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Recuperiamo gli Squallor, poeti osceni e contrabbandieri di buon umore

A me piace l’oscenità; mi annoia invece la volgarità, che è cattivo gusto e basta. (…) L’osceno è il sublime. Moana Pozzi

Milano, 1969. Quattro amici e discografici della CGD Records (etichetta musicale milanese, diventata poi Sugar) una domenica pomeriggio rimangono folgorati da un film che si chiama Il mio amico il diavolo (1967). In una scena del film, l’attore si esibisce cantando -ma senza cantare- su una ipnotica base musicale. Quella combinazione di voce parlata e musica farà scoccare la scintilla che darà vita al progetto Squallor. I quattro amici sono Giancarlo Bigazzi, Alfredo Cerruti, Daniele Pace e Totò Savio. Il loro lavoro è quello di comporre musica e parole per tantissimi artisti, tra i quali ci sono Massimo Ranieri, Mina, Umberto Tozzi, Gianni e Marcella Bella, Caterina Caselli e Loredana Bertè. Insomma, di giorno, una vera scuderia di fuoriclasse bazzica per gli uffici della CGD. Ma i quattro amici vi rimangono anche di sera e spesso si attardano lì anche dopo mezzanotte. Bevono, fumano, chiacchierano. Accendono i microfoni e improvvisano canzoni, senza mai registrarle. Parlano a ruota libera, usano parolacce e volgarità e scimmiottano il pop e la canzone d’autore che essi stessi producono. Un giorno però parte il registratore e si accorgono che quelle esternazioni improvvisate hanno la potenzialità di un disco. Nasce il primo LP Troia a cui ne seguiranno altri 13 fino al 1994, e tutti con titoli espliciti e copertine bizzarre, che alludono al sesso.

Il successo è immenso. Quei dischi vengono venduti alla velocità della luce. Gli Squallor piacciono, ma nessuno sa chi siano veramente, e quell’alone di mistero li rende ancora più accattivanti. In un’ Italia bacchettona che vota la DC è davvero sorprendente il successo dei quattro moschettieri delle “maleparole”. Di giorno gli Squallor sono professionisti integerrimi, di notte calano la maschera e dicono quello che pensano. Tra scherzi telefonici, denunce e rutti gli Squallor sono inarrestabili. La trivialità dei testi e il nonsense sono le basi per feroci attacchi al potere religioso, politico e economico, mentre le melodie, composte da Totò Savio, sono delle vere perle di musica d’autore.

Hanno addirittura varcato i confini dell’Italia con un successo diventato fenomeno europeo, grazie alla cantante belga Ann Christy. In Lussemburgo, Germania, Olanda, Francia e Belgio nel 1974 tutti cantano Bla Bla Bla ma non tutti sanno che a scriverla sono stati gli Squallor, come evidente parodia delle canzoni sentimentali francesi.

E’ difficile spiegare e spiegarsi il successo degli Squallor in una dimensione musicale in cui non esistevano ancora i social network e i reality. La televisione era perennemente al vaglio della censura e del buoncostume -era addirittura vietato pronunciare la parola divorzio!- e le radio non avrebbero mai trasmesso quei testi così sfacciatamente osceni. E nonostante tutto, ci sono riusciti e hanno avuto un grande successo. Sono stati i DJ, che hanno chiuso le loro serate con gli Squallor. Sono state tutte le denunce delle grandi aziende, a fare da promozione agli Squallor. Sono state le musicassette nascoste e vendute in autogrill a fungere da passaparola, nelle macchine degli italiani che le cantavano a memoria -rigorosamente in assenza delle mogli!- Sono stati quei ragazzini di 10 anni, che non capivano quei doppi sensi, ma riuscivano a percepire la filosofia di vita dei quattro contrabbandieri del buon umore pur nell’evidente oscenità di quelle maleparole proibite.

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Tommaso Paradiso e l’inspiegabile successo di un antidivo

Ho una confessione da farvi. La prima volta che ho ascoltato i Thegiornalisti dal vivo è stato nel 2015. Io non li conoscevo ma il pubblico si, e anche bene. Motivo per cui ho iniziato a osservare i fans. Ragazzi ventenni o poco meno, in maggioranza ragazze, che cantavano ogni canzone a memoria, saltando e piangendo. Quindi ho deciso di sforzarmi e capire perché il motivo di tanto successo.

Ebbene per me rimane un mistero, ma da quella sera i Thegiornalisti hanno fatto il salto di qualità, e in meno di un anno sono riusciti ad avere un successo mainstream grazie a Completamente Sold Out, quarto album in studio. Si, perché i tre ragazzi di Roma, Musella, Primavera e Paradiso, si sono formati nel 2009 proprio nella Capitale e sono riusciti in qualche anno a farsi notare non solo da chi era in cerca di musica “diversa”, ma anche dalla critica.

Come hanno dichiarato più volte in diverse interviste, l’essenza della band è racchiusa nel nome: Thegiornalisti significa raccontare storie il più possibile vicino alla realtà, costituita dalle piccole cose che passano inosservate. Raccontarle alla maniera dei giornalisti, attenendosi ai fatti, è stato lo scopo del trio romano, almeno fino allo scorso settembre, quando, subito dopo il concerto al Circo Massimo, Paradiso ha annunciato sui social di voler intraprendere la carriera da solista. Adieu, bye bye, Auf Wiedersehen.

Le storie d’amore finiscono, le storie di band pure. Soprattutto in Italia, dove le band sembrano avere vita breve. Eppure, Tommaso Paradiso è riuscito a mantenere il controllo e nel giro di pochi mesi ha scritto altre due canzoni in stile Thegiornalisti: Non avere paura e I nostri anni dimostrano che chi fa da sé fa per tre. L’antidivo Paradiso continua a vestire oggettivamente male, continua a cantare di biscotti inzuppati nel latte, piante da innaffiare e gente che in casa indossa il vestito da sposa.

Oltre a scrivere come un fiume in piena testi e musica per se stesso e per altri, Tommaso Paradiso ha un modo di cantare che lo rende riconoscibile anche a chi lo conosce affatto. Complici le radio italiane che trasmettono in sequenza le sue canzoni, evitare di pronunciare le sillabe in maniera chiara e comprensibile ai più è proprio una prerogativa di Tommaso. La sua voce sporca ricorda un Gianluca Grignani addolcito, le melodie invece si avvicinano molto alla musica di Cesare Cremonini. Se poi ci sofferma sui temi -Roma e gli amori complicati- allora si pensa subito a Venditti. Quindi niente di nuovo sotto al sole.

Eppure Paradiso riesce a distinguersi da tutti e ad avere una marcia in più: se iniziate ad ascoltare le sue canzoni non riuscirete più a smettere di farlo. Le tastiere in primo piano, quella ritmica che rende la canzone subito orecchiabile e piacevole, il sapore un po’ vintage di alcuni suoi pezzi sono gli ingredienti del successo del trentaseienne romano, che continua ad avere il potere di parlare di niente e a trasformare quel niente in una hit estiva.

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Marzo, 1943: nel nome dei Lucio

Un’ insolita combinazione di astri si disponeva sui cieli dell’ Italia tra il 4 e il 5 marzo 1943, preparando la strada a una rivoluzione in ambito musicale che non avrebbe avuto la forza di una deflagrazione. Sarebbe stata più simile a una goccia che scava la roccia e per manifestarsi avrebbe atteso tempi più maturi. Che voi vogliate crederci o meno, a poche ore di distanza, in quel marzo del ’43 nascevano due stelle che avrebbero cambiato le sorti della musica leggera italiana. Da un lato Bologna, “la Rossa, la Dotta e la Grassa”; dall’altro Poggio Bustone, un borgo in provincia di Rieti. Eppure i due bambini prodigio avevano già una cosa in comune, omen nomen: Lucio Battisti e Lucio Dalla avrebbero, di lì a poco, illuminato il panorama musicale italiano e avrebbero condiviso un modo di concepire la musica che li ha resi gli anticipatori indiscussi della modernità nella canzone, una modernità che in Italia stentava ancora ad arrivare.

Frequentavano ambienti diversi e forse non si sono mai incontrati di persona. E proprio l’ambiente sarà il punto di origine per capire la loro musica. Dalla era nato in una città energica, sempre in movimento e con tante cose da raccontare. E saranno Bologna e i suoi vicoli a fornirgli l’ ispirazione per musica e testi. Amava la vita, amava la gente e aveva un amore sfrenato per il jazz e Giacomo Puccini. Battisti, al contrario, era un figlio di provincia, venuto dal paese. E il paese, si sa, è restío ai cambiamenti. Era quindi un ragazzo introverso e riservato e le sue canzoni hanno tutte il sapore della quotidianità, semplici, immediate ma mai banali.

La prima volta che Battisti è salito su un palco non voleva neanche farlo, ma quando è sceso era già diventato una star. Il suo caro amico Giulio Mogol lo ha definito “un matematico con la passione per la matematica”. E anche il suo modo di lavorare rispecchiava questa sua indole: registrava una canzone in 4 o 5 modi diversi e alla fine sceglieva sempre quella più originale.

Lucio Dalla aveva un continuo bisogno di cercare nuovi stimoli e per farlo si addentrava in generi musicali sempre diversi, collaborando e duettando con artisti del calibro di Ray Charles. Era un giocherellone e amava la sua città. Dopo la sua morte sono usciti fuori tantissimi video che avevano filmato Lucio suonare insieme ad artisti emergenti o incontrati per strada. La musica era un richiamo irresistibile per un menestrello come lui, che non poteva vivere lontano dalla strada e dal pianoforte.

Lucio Battisti aveva invece un carattere più incline alla riflessione e all’ascolto. Per il disco Anima Latina (1974) aveva avuto una discussione con i tecnici del suono e con Mogol che gli avevano consigliato di alzare il volume della sua voce e abbassare, invece, il volume degli effetti sonori. Battisti si era opposto. “E come faranno a capire le parole della canzone?” gli aveva chiesto Mogol. Lucio aveva risposto che la gente avrebbe prestato più attenzione alle parole, concentrandosi maggiormente sul testo. Voleva stimolare gli ascoltatori a comprendere meglio le parole, perché ascoltare è il contrario di sentire.

Malgrado le differenze caratteriali e musicali, Lucio Battisti e Lucio Dalla sono stati dei grandi sperimentatori. Pur partendo da punti diversi e lontani nello spazio, hanno saputo cogliere le trasformazioni del proprio tempo e interpretarle secondo una personale visione.

Entrambi hanno occupato la scena della musica italiana egemonizzandola e innovandola. Entrambi hanno scritto e composto delle perle musicali che rimangono immutate nel tempo.Entrambi hanno influenzato gli artisti coevi e successivi.

Entrambi ci hanno lasciato troppo presto.

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I 5+1 documentari Netflix che dovresti assolutamente guardare (+English Version below)

Dal catalogo di Netflix abbiamo selezionato alcuni documentari che vale la pena guardare, per conoscere meglio alcuni tra gli artisti che, con la loro musica, hanno ispirato e continuano a ispirare

What Happened, Miss Simone? (2015) – La storia della tormentata Nina Simone, pianista, cantante ma soprattutto femminista e attivista per i diritti civili negli Stati Uniti. Attraverso le interviste con la figlia e gli amici di Nina, questo documentario mette in evidenza le luci e le ombre di una donna che non si è mai data per vinta, lottando strenuamente contro le ingiustizie e la segregazione razziale. Anche a costo di rimanere completamente sola.

How the Beatles Changed the World (2017) – Tom O’Dell ripercorre la storia dei Beatles, dalle origini fino allo scioglimento della band. Appena inizierete a guardarlo, non smetterete più di cantare. Un affascinante viaggio attraverso interviste e filmati di archivio che mostrano come i Beatles hanno rivoluzionato la musica e i costumi dagli anni 60 in poi.

27: Gone Too Soon (2018) Chi non ha mai sentito parlare del “Club 27” deve assolutamente guardare questo film, dedicato a sei grandi stelle della musica: Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse, tutti scomparsi a 27 anni a causa dell’abuso di alcol e droghe. E a proposito di Janis Joplin, vi segnaliamo anche il documentario sulla sua vita: Janis, Little Girl Blue (2015) ripercorre l’infanzia e l’adolescenza della ragazza di Port Arthur. Attraverso rare interviste e materiale d’archivio vengono alla luce la fragilità e la forza di quella che è stata sicuramente la prima donna rocker della storia della musica mondiale. Imperdibile.

Gaga: Five Foot Two (2017) – Se siete tra coloro che hanno bisogno di ispirazione continua, questo è quello che fa per voi. Lady Gaga svela se stessa attraverso un racconto intimo, tra problemi fisici ed emotivi e impegni musicali, come la preparazione dello show di intervallo del Super Bowl.

Whitney: Can I Be me (2016) – Cosa sarebbe stata la musica pop senza la voce di Whitney Houston? Il regista Nick Broomfield ripercorre la vita dell’ amatissima stella del pop attraverso il racconto di amici, parenti e della stessa Whitney: dagli esordi nel coro gospel parrocchiale alla battaglia contro la dipendenza, fino alla sua sconcertante morte, avvenuta nel 2012.

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The 5+1 Netflix documentaries that you should watch

What Happened, Miss Simone? (2015) – Nina Simone’s story: pianist, singer but, above all, feminist and civil rights activist in the United States. Through interviews with Nina’s daughter and her friends, this documentary shows the lights and the shadows of a woman who has never given up, fighting against injustice and racial segregation. Even at the cost of being completely alone.

How the Beatles Changed the World (2017) – Tom O’Dell traces the Beatles’ story, from the origins to the end. As soon as you start watching, you immediately start singing. A fascinating journey through interviews and archive footage that shows how the Beatles changed music and customs from the 60s onwards.

27: Gone Too Soon (2018) If you’re somebody who has never heard of “Club 27” you should watch this movie about six great music stars: Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse, all of whom disappeared at age 27 due to alcohol and drug abuse. And speaking about Janis Joplin, we also point out the documentary about her life: Janis, Little Girl Blue (2015) traces the childhood and the adolescence of the girl from Port Arthur. Through rare interviews and archival material we can perceive the fragility and the strength of a woman who has certainly been the first female rocker in the world. Unmissable!

Gaga: Five Foot Two (2017) – If you are among those who need continuous inspirations, this movie is for you. Lady Gaga reveals herself through an intimate story, among physical and emotional problems and musical commitments, such as the preparation of the Super Bowl interval show.

Whitney: Can I Be me (2016) – What would Pop Music have been, without Whithney’s voice? The director Nick Broomfield traces the life of the beloved Popstar, through the stories of friends, relatives and Whitney herself: from the beginning in the Gospel Choir to the battle against drugs abuse, until her death, in 2012.

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Piero Pelù, gigante e pugile fragile

40 anni di carriera e non sentirli affatto. Piero Pelù festeggia questo traguardo con il nuovo album, Pugili fragili, e a pochi giorni dall’uscita è già al 6 posto della Italian iTunes Charts

Se ascoltate il nuovo album da solista di Piero Pelù aspettandovi di sentire i Litfiba che furono, vi dico già che potreste rimanere davvero delusi. L’esibizione sanremese (la prima in assoluto in 40 anni di carriera) mi aveva davvero stupito: un’ energia senza pari, voce cupa e vibrante, una canzone orecchiabile che mi è subito entrata in testa.

Lo hanno definito un animale da palcoscenico, proprio per sottolineare che, quando canta dal vivo, Piero ti trasmette più di quello che ti aspetti. Ed è proprio questa la formula del suo successo, accompagnata da una perenne voglia di cambiare pelle. E questa trasformazione la si avverte già dalla copertina: le braccia sono tatuate con squame di serpente, pronto all’ennesimo cambio di pelle.

Bene. Tutta questa premessa è per spiegarvi che al primo ascolto l’album lo detesterete. Sul serio. Un calderone di temi (ecologia, avere vent’anni, violenza di genere, razzismo) e una commistione di generi che cozzano tra loro (elettronica e classic rock). Ma l’intento di Pelù era proprio questo: toccare tutti i generi musicali della carriera dei Litfiba, mescolarli e creare delle canzoni che potessero arrivare a tutti. Il risultato è che si ha l’impressione che per far contento il pubblico Piero Pelù si sia un po’ troppo commercializzato. Sta di fatto che su 10 canzoni a me ne sono piaciute due: Nata Libera – testo bellissimo e atmosfere dark- e Canicola – batteria incalzante e ritmo trascinante.

Al secondo ascolto noterete citazioni tra il sacro e il profano (Cecco Angiolieri, De Chirico e Ozzy Osbourne), vi accorgerete che ci sono delle parti cantate in stile Fabrizio De André e vi direte che tutto sommato la collaborazione con Andrea Appino in Fossi foco non è per niente male.

Al terzo ascolto inizierete a canticchiarle più o meno tutte, ma continuerete a evitare Luna nuda, perché ascoltarla una volta è anche troppo.

Nel desolante panorama della scena rock italiana Piero Pelù è sicuramente un faro, ma con Pugili fragili ho l’impressione che non si vada in nessuna direzione particolare. La carriera solista del ragazzaccio fiorentino sicuramente non è ai livelli di quella del suo passato con i Litfiba, ma sarebbe anche anacronistico pretendere di raccontare la realtà di oggi con gli occhi e le orecchie di ieri. Scordatevi la complessità dei testi di una volta, dimenticatevi la chitarra di Ghigo (sigh!), concentratevi solo su quello che state ascoltando. Piero Pelù a 58 anni è finalmente libero di essere se stesso, cantare quello che gli pare e ripulire le spiagge italiane dalla plastica con il sottofondo di Picnic all’inferno.

Tracce:

1. Picnic all’ inferno

2. Gigante

3.Ferro caldo

4.Pugili fragili

5.Luna nuda

6.Cuore matto (cover di Sanremo)

7.Nata libera

8.Fossi foco

9.Stereo santo

10.Canicola

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