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Astro in Music: Acquario

Dimmi di che segno sei e ti dirò quale genere musicale fa per te! Astro in Music è la rubrica dedicata all’oroscopo musicale. Ogni mese una playlist di canzoni, dedicate a uno specifico segno zodiacale.

(copertina e illustrazione di Elena Damiano)

21 Gennaio – 19 Febbraio

Idealisti e sognatori, in perenne lotta tra la continua ricerca di libertà e d’indipendenza, e il bisogno atavico di trovare il proprio posto nel mondo, dove poter mettere radici. Ma anche dopo averlo trovato, non pensate che sia finita: l’Acquario ricomincerà presto a scalpitare e a desiderare la vecchia libertà.

Guai a tarpargli le ali: l’Acquario è il segno più libero e anticonformista dello Zodiaco. Per questo motivo, averci a che fare, costa tanta fatica.

Creativi, indipendenti, diversamente romantici e originali a ogni costo. La musica dell’Acquario è anticonvenzionale, sperimentale e spesso di natura impegnata. I temi sociali non sfuggono all’orecchio attento di questo segno, impegnato più pensare di voler fare che….a fare.

Generi musicali: elettronica, techno, rock, metal, rap e tutti i generi indipendenti (della serie: più non li conosce nessuno, meglio è).

Consigli in musica: quest’anno non fossilizzatevi su quello che ascoltate di solito. Spaziate e sperimentate pure, alla ricerca di un genere musicale del tutto nuovo che vi aprirà nuovi orizzonti e prospettive.

Playlist

Ecco una mini-playlist di 10 canzoni che un Acquario dovrebbe assolutamente ascoltare!

  1. One of These Days, Pink Floyd
  2. The Anthem, Onra
  3. Boomerang, Viva Lion
  4. I Wanna Be Adored, The Stone Roses
  5. It’s Not Unusual, Tom Jones
  6. Bell Bottom Blues, Derek &The Dominos
  7. La mia generazione, Mattia Caroli& I Fiori del Male
  8. Combat reggae, 99Posse feat. Mama Marjas
  9. The Great Gig in The Sky, Easy Star All-Stars
  10. A New Error, Moderat

Ora tocca a voi, amici dell’ Acquario: vi rivedete in questa descrizione? Se vi va di suggerirci qualche altro brano della vostra personale playlist di canzoni, segnalatelo in un commento.

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“Home” il ritorno a casa di Dario Distasi

E’ uscito il 3 dicembre e si intitola “HOME”: si tratta del nuovo singolo di DARIO DISTASI, cantautore rock molisano. Il brano segna il ritorno dell’artista sulla scena musicale italiana dopo gli anni in UK. Disponibile anche il videoclip del brano.

Sono 816 mila gli italiani che negli ultimi dieci anni sono emigrati all’estero in cerca di un futuro migliore. Si parla di lavoro, di opportunità, ma sempre troppo poco dei risvolti psicologici ed emotivi che in tanti subiscono: dalla mancanza di punti di riferimento alla solitudine. La gioia del rientro per le vacanze e il grande vuoto quando l’aereo decolla per il rientro oppure la mancanza di un semplice abbraccio dell’amico di sempre o del calore della famiglia.

E’ di questo groviglio di sentimenti ed emozioni che parla “Home”, l’ultimo singolo di Dario Distasi, prodotto da Chris Taylor presso i Noiseboy Studios di Manchester, UK e masterizzato da Pete Maher (U2, Depeche Mode, Snow Patrol). Un brano rock, dal sound di ispirazione chiaramente americana, che con grinta e sincerità racconta i sentimenti di un giovane italiano all’estero. Accompagna il brano il videoclip per la regia di Matteo Castelluccia.

GUARDA IL VIDEOCLIP DI “HOME”

Ho vissuto molti anni lontano da casa – racconta Distasi – In UK, poco prima di decidere di tornare in Italia, ho impulsivamente e casualmente scritto “Home”. Un brano che parla della sensazione di non avere riferimenti, della disillusione, del non sapere quale luogo chiamare casa se non c’è qualcuno ad aspettarti. Forse sapevo già che Casa era il posto in cui dovevo tornare per avere un nuovo punto di partenza.”

Dario Distasi è un cantautore rock di origini molisane, classe 1985. Inizia molto presto a suonare la chitarra e comporre brani propri ma la svolta arriva dopo la laurea, quando decide di trasferirsi a Manchester, città dalla fervente scena musicale, dove inizia a girare pub e locali da solista, cantando le proprie canzoni.

Quello di Distasi è sound prettamente americano, come lo sono le sue influenze, da Sting a Dave Matthews, da Myles Kennedy agli Audioslave. Così, dopo la pubblicazione del primo miniEP “Coming Around”, decide di registrare nuovi pezzi a Nashville, Tennessee, USA. Qui entra in contatto con Drew Middleton, produttore pluripremiato dalla BMI (la SIAE Americana) per le proprie produzioni. Con Middleton produce nel 2019 l’Ep “Letting Go”, dal quale sono estratti due singoli “Stuck in here” e “When The Lights Go Down” che hanno incontrato i favori di pubblico e critica sia negli Usa che in Europa.

Nel 2020 decide di rientrare in Italia, dove fonda un nuovo progetto musicale con una nuova backing band senza però abbandonare il sound e le scelte musicali percorse in UK e USA.

40 anni senza John. Ma il mito di Lennon è più vivo che mai

Furono cinque, i colpi di pistola sparati da Mark David Chapman che misero fine alla vita di John.

Era la sera dell’8 dicembre 1980 e, da allora, sono trascorsi ben 40 anni. Quella sera David Bowie si stava esibendo in un teatro di Broadway con The Elephant Man e rimase perplesso quando si accorse che due posti in prima fila erano rimasti vuoti. Quei posti, Bowie li aveva riservati ai suoi amici John e Yoko, che quella sera avrebbero dovuto essere lì a teatro per lui. Solo quando trapelò la notizia della scomparsa di John, Bowie capì.

“I just shot John Lennon” furono le gelide parole di Chapman alla polizia, quel lontano 8 dicembre 1980. Ma dopo quattro decenni possiamo senza dubbio affermare che il mito di Lennon non è mai morto, anzi è più vivo che mai.

La notizia della morte suscitò dolore e commozione tra i fan di tutto il mondo, al punto che anche in Italia si decise di celebrare l’artista con una catena musicale via etere, attraverso l’ascolto di Imagine in tutte le radio.

Musicista di talento, militante e pacifista. Come spiegare John Lennon alle nuove generazioni? Probabilmente il modo più bello e immediato sarebbe quello di far ascoltare la sua musica ai bambini, perché non esiste modo migliore di comprendere John, se non attraverso la sua eredità.

Nel 1997 ero anche io una bambina e non conoscevo l’ex beatle, se non per sentito dire. Ma ricordo quella mattina di dicembre, poco prima di Natale, quando durante la lezione di inglese il maestro ci fece ascoltare Happy Xmas (War is Over). Fu subito amore.

Le parole dei testi di John Lennon hanno sfidato le leggi del tempo e dello spazio e sono arrivate intatte fino ai nostri giorni, con quella che è la potenza disarmante della semplicità. Ascoltare oggi Imagine (che è diventato il testamento musicale di John) significa ancora una volta immaginare un mondo diverso da quello in cui siamo stati catapultati, e sognare di azzerare quei muri e quelle distanze, che ci tengono prigionieri di schemi mentali in grado di alimentare soltanto egoismo e disuguaglianza.

Chissà come sarebbe stato se John Lennon fosse ancora vivo. Chissà quante cose avrebbe avuto ancora da dire, e chissà quali altre perle musicali avremmo avuto il piacere di ascoltare. E’ vero, l’8 dicembre 1980 è scomparso un uomo, ma quel giorno di dicembre ha sicuramente contribuito alla nascita di un mito immortale.

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Grande successo per la 14° edizione di Barezzi Festival

PER LA PRIMA VOLTA INTERAMENTE IN STREAMING

La musica dal vivo e la bellezza hanno riconquistato il centro della scena, lasciando intravedere orizzonti di fruizione inediti, destinati a rinnovare radicalmente lo scenario della musica live.

40 paesi collegati, una copertura social oltre ogni aspettativa, una stima di circa 20.000 accessi alla piattaforma streaming e il raddoppio delle previsioni di incasso: grande successo per la quattordicesima edizione di Barezzi Festival, che ha visto le sue Gemme sbocciarein tutto il loro splendore.

Una fioritura ancor più significativa considerando le difficoltà, le restrizioni, gli imprevisti della pandemia che hanno costretto a ripetuti e profondi cambiamenti della programmazione fino a pochi giorni dal debutto di questa edizione, andata in scena dal Teatro Regio di Parma per la prima volta in streaming il 13 e 14 novembre 2020 su teatroregioparma.it attraverso la piattaforma Payperlive di Zeye.

Un’edizione necessaria, quella del Barezzi Festival in tempo di Covid19, che si è con determinazione voluto confermare e che ha potuto vantare la presenza di artisti prestigiosi che hanno voluto esserci con performance dedicate e site specific, ideate e realizzate in tempi record.

Si è mantenuta così stretta e tesa la relazione con la folta comunità degli spettatori, che hanno dimostrato e testimoniato con il loro seguito sui social e nella chat del live streaming l’affezione per il festival, e nello stesso tempo si è pronti a immaginare gli ulteriori sviluppi del festival ora pronto a rivolgersi sia al pubblico in sala, sia alla più vasta platea del mondo digitale, che potrà innamorarsene e assaporare le sue speciali atmosfere anche a distanza. E che potrà quindi decidere di venire a viverle di persona a Parma.

USA, Germania, Italia in cima alla classifica dei 40 paesi collegati alla piattaforma dei live streaming per assistere ai concerti del cosentino Brunori Sas, in trio, che ha inaugurato la rassegna col calore inconfondibile della sua voce, di Vinicio Capossela, che ha regalato un indimenticabile ed esclusivo spettacolo di teatro musicale ispirato alle figure di Antonio Barezzi e di Giuseppe Verdi, e a Parma stessa, dedicato alle personalità di mecenati che hanno lo hanno sostenuto lungo i suoi primi 30 anni di carriera, e dei Marlene Kuntz, capitanati da Cristiano Godano, per la prima volta ospiti di Barezzi Festival.

Un successo condiviso con la schiera di giovani talenti della nuova scena, protagonisti dei concerti esclusivi disponibili sulla piattaforma negli stessi giorni e realizzati in esclusiva per Barezzi Festival: i Post Nebbia e la versatile Margherita Vicario, dal palcoscenico del Regio; il raffinato cantautore Guido Maria Grillo e lo straniante collettivo trentino Pop X, dalla Sala di Scenografia del Regio; il cantautore e pianista siciliano William Manera, dal Ballatoio del Palcoscenico; il delicato cantautore Ettore Giuradei, dalla Sartoria del Regio e Sara Loreni in “duo” con la sua loop station dal Ridotto, oltre che, in due “house concert” dal sapore intimo e raccolto, il giovane cantautore afro-romagnolo Fadi e l’elegante Valentina Polinori.

Uno sforzo produttivo reso possibile oltre che dalla determinazione della direzione artistica di Giovanni Sparano e del team del Teatro Regio di Parma, organizzatore e produttore del Barezzi Festival, dall’imprescindibile sostegno degli sponsor del Festival, adesi ai fautori del progetto nonostante le mutate condizioni operative, con l’intento di non interrompere il legame con la comunità, di non eludere le aspettative di musica dal vivo e di scrivere uno scenario nuovo.

Il XIV Barezzi Festival è stato realizzato nell’ambito di Parma Capitale Italiana per la Cultura 2020+21 grazie al contributo di: Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Regione Emilia Romagna, Comune di Parma, oltre che con il sostegno della Fondazione Cariparma e dell’Associazione Parma, io ci sto! Main sponsor Conad Sapori e Dintorni, Chiesi Farmaceutici, Ares. Sponsor Toyota Italia, Albinea Canali Partner La Toscanini Otium Tabarro, Alberto, Orfeo Hospitality Partner Novotel Streaming a cura di Zeye

Il risultato sul piano artistico, racconta Giovanni Sparano, è stato di enorme successo, grazie allo sviluppo di un format artistico incentrato sulle caratteristiche e sulle suggestioni che soltanto un luogo come il Teatro Regio sa sprigionare, grazie all’inusitata capacità di trasmettere calore, stupore, e coinvolgimento in ognuno dei suoi spazi, come la Sartoria, la Sala di Scenografia, il Ballatoio del Palcoscenico, riscoperti valorizzati in quest’originale contesto spettacolare, nello spirito proprio del Festival e del suo ispiratore Antonio Barezzi il mecenate che per primo riconobbe il talento del giovane Giuseppe Verdi sostenendone gli studi e di cui l’oste Diego Sorba ha vestito i panni introducendo e dialogando con gli artisti.

Il Barezzi Festival ringrazia tutti i musicisti che hanno preso parte alla sua XIV edizione aderendovi anche, date le particolari condizioni, all’ultimo momento, compresi tutti gli artisti che non hanno potuto parteciparvi quest’anno e che saranno invitati esserne protagonisti nelle prossime edizioni.

Come annunciato, l’incasso del concerto di Brunori Sas in trio sarà devoluto a sostegno dei lavoratori dello spettacolo dal vivo della Calabria, attraverso il collettivo Approdi e l’Associazione La Terra di Piero. In accordo con l’artista e l’orchestra, il Teatro Regio si è impegnato a progettare e realizzare in un prossimo futuro lo speciale ed esclusivo progetto musicale immaginato da Barezzi Festival con Brunori Sas e i 51 musicisti under 35 de La Toscanini Next. Un progetto che si vuole far sbocciare in un tempo più sereno, che consenta l’incontro anche con il pubblico presente in sala e che ci auguriamo possa essere in programma sin dalla prossima edizione Festival.

10 anni di Foja: in uscita la collection della discografia ufficiale + inediti

Il 10 dicembre i FOJA celebrano il decennale del loro primo album pubblicando “DIECI” una speciale collection che racchiude i primi tre album editi (‘Na storia nova, Dimane torna ‘o sole, ‘O treno che va) più un quarto volume contenente i singoli fuori album, le collaborazioni internazionali, la cover di “Maruzzella”, i brani mai pubblicati prima in digitale e un brano inedito che sarà online su tutte le piattaforme streaming quello stesso giorno ‘E fronne,

Lo stesso giorno, oltre alla pubblicazione della collection, uscirà anche una speciale tiratura limitata in vinile dell’album d’esordio “Na storia nova” e diversi gadget che saranno disponibili su uno store online dedicato.

Non esistono parole per descrivere i dieci anni trascorsi dall’uscita del nostro primo disco, solo le canzoni riescono ad avere tanto potere”. Così Dario Sansone, cantante e leader della band che con l’uscita dell’esordio “’Na storia nova” creò uno spartiacque nella musica napoletana contemporanea, inizia il suo ringraziamento al pubblico e a chi ha collaborato alla crescita di questa meravigliosa realtà che sono i Foja.

E così continua: “Tutto quello che è successo in questo decennio non è unicamente merito nostro, ma di una famiglia dal cuore immenso fatta di produttori coraggiosi, managers sognatori, musicisti generosi, illustratori visionari, fonici alchimisti, grafici geniali, registi dalla sensibilità speciale, tour-managers innamorati, driver temerari, promoters amanti del rischio, bookers tenaci, gestori di locali intraprendenti, addetti stampa instancabili, produttori artistici talentuosi, service infaticabili, fotografi appassionanti, compagne pazienti, amici veri e di un pubblico unico che vive la musica e l’arte dal nostro lato della barricata con il fuoco dentro… cu’ ‘a Foja dint’o core..“

C’è un “prima” e un “dopo” l’arrivo dei Foja sulla scena napoletana. Un concetto di arte dove la musica è elemento portante di una percezione più ampia, che include anche arti figurative come il disegno, statico e animato, di cui Dario Sansone è uno dei più capaci esponenti. Le esperienze della band partono da una mescla di generi e di influenze, che da millenni si susseguono nella “città porosa”. La contaminazione artistica, nata nei club fumosi del porto in periodo post bellico con il blues degli americani, si incontra con la tradizione culturale napoletana facendo nascere un unicum. Con Carosone, The Showmen, Napoli Centrale fino a Pino Daniele i Foja hanno sviluppato la stessa “linea di sangue sonora”, orgogliosi di far parte di una famiglia partenopea vera e verace dal suono internazionale.

In questi dieci anni i Foja hanno raggiunto importanti traguardi: dal memorabile concerto al Teatro San Carlo, ai concerti in location rappresentative come il Palazzo Reale, il museo di Capodimonte, Castel Sant’Elmo, l’Arena Flegrea, ai tour europei e nordamericani del 2018 fino ad arrivare a collaborare su versioni inedite di alcuni dei più bei brani della propria discografia con importanti artisti internazionali.

Infine, ma non meno importanti, le collaborazioni cinematografiche del frontman Dario Sansone con disegni e musiche per i lungometraggi “L’arte della felicità” e “Gatta Cenerentola”.

Isola Tobia Label lancia la campagna #IOCOMPROMUSICA

Parte oggi 3 dicembre #IOCOMPROMUSICA la nuova campagna promossa da Isola Tobia Label per il sostegno concreto della musica attraverso l’acquisto di album.

Diverse le iniziative previste, sia a vantaggio di chi acquista, come ad esempio piccole ricompense attraverso raccolte punti, sia a vantaggio degli artisti che aderiranno. Inoltre Isola Tobia Label ha deciso di mettere a disposizione lo store isolatobialabel.com/chiosco, destinato generalmente alla promozione e alla vendita degli album degli artisti del roster, anche ad artisti che non ne fanno parte, in modo che possano avere una vetrina in uno spazio aggregativo con i vantaggi che può offrire, dalla spedizione alle iniziative di marketing.

La richiesta di adesione può essere inviata alla mail: servizi@isolatobialabel.com.

La scelta dell’etichetta viene così spiegata dal direttore artistico Carlo Mercadante:

Che lo streaming stia seppellendo il settore musicale, soprattutto quello autoprodotto o quello cosidetto emergente è ormai un dato certo. A tal proposito ritengo che, finché non ci sarà una presa di posizione netta da parte di artisti, operatori culturali e giornalisti, non ci sarà possibilità alcuna di ricominciare a parlare di valorizzazione dell’opera musicale. La quasi totalità delle categorie citate, infatti, oggi si promuove in streaming senza tenere conto che 10 mila visualizzazioni non sono la stessa cosa dei 10 mila dischi che si vendevano prima dell’avvento del digitale.

Tuttavia non credo che le piattaforme di streaming vadano demonizzate, anzi. Se utilizzate con criterio, costituiscono un ottimo modo per far circolare la musica, a patto che ogni artista, operatore o giornalista inserisca anche il link di vendita sotto ogni post per l’ascolto in streaming. Questo per lanciare un segnale e dare un valore a ciò che è costato denaro e fatica produrre.

Un solo dato: 10 mila streaming valgono ad oggi circa 30 euro, cioè a dire quanto 3 album venduti fisicamente o digitalmente. Bisognerebbe ragionare su questo”.

Tina, the best: le 5 canzoni che hanno segnato la sua carriera

Discovery Woman è la rubrica dedicata alle artiste più rivoluzionarie e che hanno lasciato un’ impronta indelebile nel mondo della musica. Questo mese è dedicato a Tina Turner, che proprio qualche giorno fa ha compiuto 81 anni. Ripercorriamo le tappe più significative della sua carriera, attraverso le 5 canzoni che l’hanno resa celebre in tutto il mondo.

Una donna che ha fatto della sua vita un capolavoro, ottenendo premi su premi, riconoscimenti mondiali e grandi rivincite personali.

Anna Mae Bullock è il suo vero nome, ma tutti la conoscono come Tina. Una voce soul e rock da paura (che ha mantenuto intatta per oltre 5 decenni), un’ indomabile criniera leonina e tanta tenacia e determinazione: sono questi gli ingredienti che hanno reso Tina Turner l’artista più longeva del rock mondiale. La sua vita è paragonabile a un giro di montagne russe, fatto di salite impervie ma anche di discese a tutta forza. Nel 2018 ha compiuto 60 anni di carriera, celebrata anche con l’uscita di una nuova biografia. Per questo numero di Discovery Woman abbiamo deciso di ripercorrere le tappe più significative della sua lunga carriera, attraverso le 5 canzoni che hanno segnato ogni decennio.

A Fool in Love (1960)

Per la prima volta Little Ann incide un singolo in pieno stile soul insieme a Ike, che diverrà suo marito solo qualche anno dopo. E per la prima volta compare quello che diverrà il suo nome ufficiale, Tina Turner – anche se il brano viene inciso come Ike & Tina Turner. – Con A Fool in Love esplode il successo, Little Ann inizia a diventare celebre e il suo carisma è talmente trascinante che Ike fatica a tenerla a bada.

What’s Love Got to Do with It (1984)

Dopo aver inanellato un successo dopo l’altro ed essere salita in cima alle classifiche statunitensi (sempre affiancata dall’ingombrante presenza di Ike), per Tina inizia la discesa verso il baratro. La crisi culmina nel 1978, quando i due si separano ufficialmente. Tina è libera sentimentalmente e musicalmente, eppure la sua carriera non riesce a ingranare. Deve accontentarsi di qualche serata sporadica nei locali di Las Vegas, e diventa una valletta fissa nel varietà del sabato sera di Rai Uno (all’epoca Rete 1) Luna Park, condotto da Pippo Baudo. Ma nel 1980 viene notata da Roger Davies, il manager di Olivia Newton-John. E la sua carriera riparte alla grande, sia negli Usa che in Europa: la canzone What’s Love Got to Do with It, contenuta nell’ album Private Dancer (1984) diventa la prima e unica numero 1 in classifica negli Stati Uniti, cosa che le fa vincere un Grammy Award. La carriera di Tina riparte con un cambio look che rispecchia in pieno i canoni della donna moderna: audace, sicura di sé e determinata a riprendersi tutto quello che le appartiene.

The Best (1989)

Basta un pizzico di fortuna per diventare famosi. Ma per diventare delle vere e proprie icone immortali serve talento, impegno e passione. Tutto questo Tina ce l’ha, e quando compie 50 anni lo dimostra al mondo intero con The Best, probabilmente il singolo più celebre della Turner. Ha 50 anni ma non li dimostra affatto. E’ più in forma che mai, e anche la sua voce sembra ancora più libera e potente. Con questo brano avviene ufficialmente la consacrazione: Tina Turner è la rocker più famosa al mondo.

GoldenEye (1995)

Negli anni 90 Tina prosegue la sua carriera musicale, affiancandola anche a quella di attrice e scrittrice. Nel 1995 Bono e The Edge (chitarrista degli U2) scrivono per lei GoldenEye, canzone che diverrà la colonna sonora di James Bond. Il singolo scala tutte le classifiche in Europa e negli Usa, al punto che i dj, Dave Morales e Dave Hall, realizzano per lei due versioni remix che riportano il brano in classifica.

When the Heartache is Over (2000)

Dopo due decenni di successi, Tina ha ancora il vento in poppa e diventa l’esempio per tutte le donne mature alla soglia del 2000. La sua carriera è inarrestabile, tanto che nel febbraio del 2000 appare come guest star nella fortunata serie televisiva Ally McBeal . Tina recita insieme al cast nel ruolo di se stessa e lancia uno degli ultimi singoli di successo When the Heartache is Over. Le prime note del brano ricordano chiaramente Believe di Cher: e infatti, il brano è prodotto dallo stesso team, che grazie alla magnetica voce di Tina raggiunge di nuovo le vette più alte della classifica pop e dance mondiale.

Ora, però, tocca a te: quale tra queste canzoni di Tina Turner è la tua preferita?

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Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa: l’esordio di Vanbasten

L’esordio di questo giovane cantautore romano in realtà ha una genesi piuttosto singolare. Carlo Alberto Moretti, in arte Vanbasten, inizia a fare musica a 22 anni. Prima era un calciatore, ma per amore della musica inizia a scrivere canzoni e ne mette insieme un bel po’, prima di decidere che è arrivato il momento di pubblicarle.

“Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa” raccoglie una buona parte di quella produzione, intessuta di basi new wave e con un’attitudine decisamente punk. Un album che contiene 10 brani, rappresentativi di un immaginario fatto di periferie, amori, ferite, violenza, sconfitte, voglia di rivincita e di riscatto, in cui è l’esigenza di descrivere la realtà a guidare la narrazione.

Il percorso artistico di Vanbasten lo ha condotto su strade musicali collaterali e anarchiche. Dal rap, al punk, fino alla scrittura di testi e musica: ogni fase della sua formazione ha seguito un percorso proprio, che è stato il preludio di questo disco tanto atteso.

In Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa parli principalmente di vite di periferia e delle difficoltà quotidiane che, proprio in periferia, sono enormemente amplificate. Cos’è cambiato per te da quando hai scritto quelle canzoni? Da quando vivo le periferie l’unico grande cambiamento che ho visto è stato con il Covid. Non è mai cambiato nulla, c’è sempre stato una sorta di immobilismo, un problema atavico che con il Covid si è solo amplificato. Probabilmente, rispetto al passato, oggi la periferia è anche più inglobata, perché con il motorino ci si sposta facilmente. Io sono cresciuto a San Basilio, dove è cresciuto anche mio padre; ma tra i miei e i suoi racconti ti accorgi che sì, la periferia è cambiata in questi 40 anni, ma lo ha fatto in peggio. Prima era più romantica come forma; oggi, semplicemente, chi ha meno va più lontano.

Ci vuole coraggio a esordire in un periodo storico così incerto, oppure per te non era più possibile aspettare che il disco uscisse in un altro momento? Direi che il coraggio in questo periodo ce l’hanno tutti gli infermieri…ma per quanto riguarda me, ho considerato che questo fosse il momento migliore per far uscire il disco. Senza essere ipocrita, io faccio parte di un sottobosco di artisti, e questo momento in cui “il tempo si è fermato” per me ha rappresentato un vantaggio, perché ho pensato di fare uscire un disco che già da tempo avevo lì; nel frattempo, ho anche la possibilità di crearmi già lo stacco per prepararmi a cose nuove.

Nella foto della cover del disco hai deciso di mettere una tua foto da piccolo. Com’è nata l’idea? Ho avuto il piacere di essere seguito da Valerio Bura per tutto ciò che riguarda l’immagine; ma poi è nata l’idea di fare questa copertina, che alla fine ha realizzato la mia ragazza che fa l’illustratrice. Il mio desiderio era quello di avere una copertina che rispecchiasse l’anima del disco, canzoni che avevo scritto già da tempo e alle quali sono molto legato. Non volevo una cover necessariamente cool, ma qualcosa di sincero. Quindi, lei mi ha detto che avrebbe provato a fare qualcosa che forse mi sarebbe piaciuto. E devo dire che ci ha preso in pieno.

“A metà degli anni 90, mio padre mi aveva regalato una maglietta dell’Olanda, quelle magliette sportive fatte con quella specie di acrilico che, se non stavi attento, facevi la fine del vestito ridotto a un filo, come nella pubblicità della Martini. Io scendevo a giocare con questa maglietta sotto casa; nessuno sapeva il mio nome, ma tutti mi chiamavano Vanbasten.

Crescendo mi è rimasto il soprannome: Carlo Vanbasten”

Quando hai iniziato a capire che la musica era la tua strada? Il momento in cui ho cominciato a capire che volevo fare musica di base è stato quando ho iniziato a scrivere le prime canzoni. Ho sempre scritto per gli altri, mai per me, e quando vedevo che quello che facevo portava beneficio alle persone accanto a me, mi sono visto un po’ come un medico cyber-punk, dato che suonavo principalmente punk. Iniettare una dose di autostima attraverso le canzoni mi affascinava troppo, perché ho capito che poteva diventare una cosa molto personale che mi faceva stare bene.

Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali e quelli che invece hai nella vita? Il mio è stato un percorso un po’ anarchico. Ho avuto una formazione musicale particolare, perché mi sono reso conto del mio potenziale solo verso i 22 anni. Al liceo ero affascinato dalla musica ma la vedevo come una cosa da sfigati, perché mi facevo influenzare da tutta quella fascia di pischelli che entravano a scuola con la chitarra e me la facevano prendere a male. Finita l’onda liceale, verso i 18-19 anni ho cominciato ad avere frontali continui con la New Wave, in particolare con Joy Division e Ian Curtis. Ma sicuramente anche il cantautorato italiano è stato fondamentale, una continua scuola per tutti quelli che vogliono fare questo mestiere. Per quanto riguarda i punti di riferimento nella vita per me bastano i miei genitori. Sono anche un amante di Pavese, Pasolini, tutti quei pionieri letterari che avevano anche una forma carismatica fisica.

Tra tutte le canzoni del disco qual è quella che per te è stata più difficile scrivere? Sparare sempre. Quella canzone, a differenza di tutte le altre, l’ho scritta perché ne volevo una per me, un mio inno. L’ho cominciata una mattina, per caso, nel periodo in cui avevo da poco iniziato a uscire con quella che è la mia attuale ragazza. Non avevo dormito molto e ho buttato giù solo i primi accordi. L’ho terminata dopo tantissimo tempo ed è diventata la canzone che mia madre mi chiedeva di cantarle sempre, quando era in ospedale. Il titolo, invece, è nato grazie a Carolina, una bambina autistica alla quale la mia ragazza faceva ripetizioni. Siccome le faceva ascoltare anche le mie produzioni, un giorno Carolina ha chiesto: “Mi fai sentire Sparare sempre?” E da quel momento è diventato il titolo definitivo.

Cosa provi adesso che quelle “Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa” sono finalmente uscite? Ancora lo sto provando, perché le ho covate talmente tanto che adesso, secondo me, il processo di rilascio è un po’ lungo. Ma ti posso dire che è figo, è una sensazione indescrivibile.

Ascolta “Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa” su Youtube e Spotify. Segui Vanbasten su Facebook e Instagram.

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Tra fuoco e neve: “Superpoteri” è il nuovo videoclip di Saverio D’Andrea

Il cantautore torna con una canzone d’amore estratta dal suo album di esordio “Anatomia di una colluttazione”. A fare da sfondo la Sicilia e l’Abruzzo, per raccontare il viaggio di un uomo nella sua anima.

È ufficialmente disponibile su YouTube il videoclip di Superpoteri, brano tratto dall’album d’esordio Anatomia di una colluttazione di Saverio D’Andrea, uscito per Isola Tobia Label e acquistabile sul sito web dell’etichetta – anche in copia fisica – e sui digital stores.

La canzone racconta di un amore puro e sincero, nel quale non si ha paura di mostrarsi per quel che si è, ma si cresce e ci si accetta anche nelle proprie fragilità, che diventano anzi un valore aggiunto. Il sentimento diventa quindi un viaggio dentro sé stessi, attraverso le terre dell’anima. Quelle terre rivivono concretamente nell’ambientazione del video, che è stato girato, per la regia di Emanuele Torre, in Sicilia e Abruzzo.

A fare da scenario sono i megaliti dell’Argimusco e la riserva naturale orientata dei laghetti di Marinello nel Messinese e l’altopiano innevato di Campo Imperatore nell’Aquilano. La scelta dei luoghi richiama in particolare il contrasto tra fuoco e neve, elementi citati nel testo del brano soprattutto per simboleggiare le avversità che possono essere superate, con spirito di condivisione, attraverso appunto l’amore.

Il lancio del videoclip è stato preceduto dall’iniziativa “Superpoetry”, un originale countdown di 15 giorni sulle pagine social di Saverio, con 15 poesie scelte da persone a lui care, pensando a Superpoteri ( ecco il link alla raccolta completa su Facebook). Il nome del contest altro non è che l’anagramma del titolo della canzone.

foto di scena a cura di Emanuele Torre

A proposito del brano, ecco cosa pensa Saverio D’Andrea: “Superpoteri è quella che può essere considerata la mia prima vera canzone d’amore. La scrissi di getto, in un pomeriggio estivo strano col cielo quasi giallo e fuori dal tempo, in cui avevo bisogno di staccarmi da quello che avevo intorno per immergermi in un’emozione forte che stavo vivendo e che aveva urgenza di essere tradotta in parole e musica. Fu un atto liberatorio, catartico. Come le altre tracce dell’album Anatomia di una colluttazione, questo brano si lega all’idea di quello sguardo profondo su sé stessi che si rivela indispensabile per far funzionare le cose in due e con gli altri in generale. Anche la scelta di un arrangiamento minimale e di un cantato quasi sussurrato non è casuale: tutto concorre infatti alla narrazione di un sentimento che dà voce all’essenziale e che lava via il superfluo per veicolare un messaggio d’amore universale. Superpoteri racconta della voglia di seguire i propri sogni restando l’uno vicino all’altro sempre, del desiderio di arricchirsi abbracciando le differenze, è il ritratto di un amore che attraverso il sacrificio e la dedizione finisce per fortificare un legame che va oltre la vita e la morte e che resiste al tempo e allo spazio. Persino le imperfezioni diventano mattoncini per edificare nuove possibilità di crescita, diventa semplice imparare a chiedere aiuto e trovare il coraggio di mostrarsi per ciò che si è, per quanto complessi. Questi concetti vengono riproposti anche nel videoclip, dove non è una narrazione realistica a scandire le scene, ma piuttosto il linguaggio scelto è pensato per descrivere un mondo di suggestioni nel quale il simbolismo delle immagini e dei colori fa da impalcatura al messaggio centrale delle parole del testo ”.

VIDEOCLIP

Il videoclip di Superpoteri è stato diretto da Emanuele Torre – che ha curato anche le riprese insieme a Lorenzo Cascone – e vede come protagonista assoluto lo stesso Saverio D’Andrea. A fare da sfondo la Sicilia e l’Abruzzo, regioni scelte per simboleggiare i due elementi contrapposti del fuoco e della neve, evocati nel testo della canzone e richiamati dai colori e dalle caratteristiche di questi luoghi. In particolare, i set siciliani sono stati allestiti nel sito naturalistico e archeologico dell’Argimusco e nella riserva naturale orientata dei laghetti di Marinello, entrambi nel Messinese, mentre il paesaggio innevato presente in alcune scene è quello dell’altopiano di Campo Imperatore, nell’Aquilano. Filo conduttore del video è l’idea del viaggio, soprattutto metaforico, che il cantautore compie in gran parte a piedi nudi, scoprendo luoghi nuovi, con lo sguardo dritto verso l’orizzonte fino a farsi aperto e pronto al cambiamento. La resa dei concetti espressi dalle immagini è enfatizzata anche dal montaggio dei frames, che in alcuni passaggi ricordano la visione di un caleidoscopio. Nel suo percorso inoltre, l’artista s’imbatte in alcuni simboli rappresentativi legati al testo della canzone, come ad esempio l’astronave di cartone e il cuore che viene avvicinato allo specchio, quest’ultimo a suggerire il desiderio di mettersi a nudo esponendo alla vista di sé stesso e dell’altro tutte le proprie fragilità.

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Qui trovi invece il link all’ intervista al cantautore, per la rubrica Rising Sounds.

La recensione di Parco Gonzo, l’EP d’esordio de I Casini di Shea

Si definiscono “le scimmie dell’underground italiano”, perché non hanno regole. Ma in realtà, I Casini di Shea una regola ce l’hanno: far esplodere gli strumenti, scatenando l’inferno.

Ebbene si, chi pensa di trovarsi di fronte al solito trio di recente formazione ( praticamente un anno fa) senza né arte, né parte, rimarrà deluso. I Casini di Shea sono incandescenti e la potenza vocale e strumentale di questa band non può lasciare indifferenti. O li ami, o li odi.

Parco Gonzo è il loro primo EP, uscito lo scorso 25 settembre e anticipato dal singolo Sostanze, un brano ipnotico con un videoclip ironico e disturbante, dove immagini pubblicitarie, scene distorte di film e sequenze animate si susseguono al ritmo incalzante della prepotente batteria di Simone Buoncompagni.

La voce e la chitarra di Mauro Mariotti sono degne eredi della migliore tradizione punk e hardcore, ma è il basso di Andrea Marcellini a dare il colpo di grazia, scandendo la ritmica di un pezzo che si accende sempre di più verso il finale, fino a scoppiare con un urlo potente e liberatorio.

Insomma, se non si fosse capito, I Casini di Shea non sono adatti a chi è debole di cuore. Il loro è un rock alternativo davvero cattivo, capace di risvegliare i morti.

Un esordio con il botto: tre tracce, tre piccoli gioielli, che ci fanno presagire un futuro d’oro per questi ragazzi di Ancona. Con Parco Gonzo dimostrano di avere un’identità musicale ben delineata e molta classe da vendere. Anche a chi questo genere lo suona da molto più tempo.

Ascolta il disco su Spotify e segui I Casini di Shea su su Facebook e Instagram.

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