Tutti gli articoli di marikarusso

Che fine hanno fatto #2 – Luca Dirisio

Ci vuole calma e sangue freddo\ Calma, yeah…’. Non ditemi che non l’avete letta cantando! Era il 2004 e Luca Dirisio era letteralmente ovunque tra radio, Festivalbar e palchi sparsi in giro per l’Italia. Riuscii a beccarlo per ben due volte e, fidatevi, per una quattordicenne del 2004 vederlo dal vivo era davvero il massimo che si potesse avere dalla vita. A grande richiesta, in questa seconda puntata di Che fine hanno fatto, ripercorriamo la carriera di questo artista abruzzese che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha affatto appeso la chitarra al chiodo!

Luca, nato a Vasto nel 1978, si avvicina alla musica nella prima adolescenza, imparando a suonare la chitarra e cominciando da subito a scrivere i primi pezzi. E’ una lunga gavetta la sua ma nel 2003 porta a casa il premio del Summer Live Festival. Da lì in poi, un’ascesa che pare inarrestabile: viene notato da Giuliano Boursier, produttore che ha collaborato con grandi nomi della musica italiana (Loredana Bertè e Riccardo Fogli, solo per citarne qualcuno). Il singolo Calma e sangue freddo diventa il tormentone dell’estate 2004 e Luca si aggiudica il premio del Festivalbar come Artista rivelazione dell’anno. Esce quell’autunno il suo album di debutto Luca Dirisio, diventato disco di platino, dal quale vengono estratti i singoli Il mio amico vende il tè, Usami e Per sempre.

Nel 2005 ‘assaggia’ il palco del Festival di Sanremo, esibendosi insieme a Paolo Meneguzzi in Non capiva che l’amavo durante la serata dedicata ai duetti. Si ripresenta all’Ariston l’anno dopo, questa volta in gara nella categoria Uomini, con il brano Sparirò, struggente ballad sulla fine di un amore. Luca viene eliminato ma la canzone riscuote notevole successo. Esce l’album La vita è strana che contiene, oltre a Sparirò, anche La ricetta del campione e L’isola degli sfigati, brano in cui il cantautore ironizza sui reality show (in particolare L’isola dei famosi, programma al quale Luca prenderà parte nel 2011). Fa parte dell’album anche il brano Se provi a volare, la versione italiana di Breaking Free, colonna sonora del primo High School Musical.

Il terzo album, 300 all’ora, esce nel 2008. Dall’album vengono estratti solo due singoli, Magica e Fragole, ciliegie e miele. Si tratta dell’ultimo disco che l’artista pubblica sotto l’etichetta Sony BMG. Dal 2009 Luca Dirisio si avvicina a uno stile più brit pop e avvia una collaborazione con l’etichetta discografica Ultrasuoni e con il produttore svedese Martin Terefe, uno dei migliori 10 produttori del mondo secondo Billboard (ha lavorato con Train, Craig David e James Morrison). Il primo frutto di questa collaborazione è il singolo Nell’assenzio che esce a fine luglio 2010 e diventa highest climber secondo Music Control, ovvero la new entry più alta della settimana per numero di passaggi e incremento di ascolti in radio. Il singolo fa parte dell’album del 2011 Compis (A Pretty Fucking Good Album), pubblicato sotto l’etichetta Compis Factory. Vengono estratti successivamente i singoli La Pazienza e La Musica è in Coma.

Nel 2012 scrive il singolo di debutto della band Fourone, Oggi ho conosciuto te, incisa a novembre dello stesso anno. A luglio pubblica con Universal il singolo estivo Dentro un’altra estate e a novembre, in free download, il brano Non esistono. Da questo momento in poi Luca prende un pausa di ben 4 anni. Torna alla carica nel 2016 con un tour europeo sotto l’agenzia Rock Concerti e pubblica il singolo Come neve, prodotto da Ketra e Takagi (gli stessi di Roma-Bankok e Vorrei ma non posto, vi dicono niente?). Nel 2017 esce il toccante brano sul tema del femminicidio, Mentre te ne vai.

Tra Compis e il nuovo album in studio passano ben 8 anni, ma l’attesa vale il risultato: Bouganville, uscito a ottobre 2019, è decisamente un ritorno in grande stile, anticipato già a marzo dal singolo La mia gente, un brano intenso e grintoso dedicato alla forza del popolo abruzzese (qui il video musicale). Sul brano Luca dichiara: ‘Questa canzone è la voce degli abruzzesi che urlano sotto le macerie dell’Aquila e di Rigopiano, è la voce e il coraggio della brigata Majella durante la resistenza, ma anche, anzi soprattutto, la voce della gente comune che si rialza e non si arrende, la voce di un cantautore abruzzese che crede e ama tutto questo’. Segue, a fine agosto, il brano Come il mare a settembre.

Il nuovo album Bouganville è dedicato a un amico dell’artista scomparso prematuramente ed è prodotto dal Giuliano Boursier dei primi tre album. Ritroviamo in questi nuovi brani un Luca fedele a sé stesso e nel contempo decisamente maturato (dopotutto ormai ha 41 anni), ma soprattutto un cantautore che ha ancora parecchio da raccontare.

E voi ascoltavate Luca Dirisio? Cosa ne pensate del suo nuovo progetto?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

Coming (very) soon. Le uscite di maggio con Norah Jones, Bon Jovi e The Killers

Doveva essere il mese dei primi eventi all’aperto, delle prime tappe dei tour estivi e dell’Eurovision, ma questo maggio 2020 non sarà niente di tutto questo. Il prolungamento delle misure per il contenimento del virus hanno definitivamente spazzato via ogni speranza di tornare ad ascoltare musica dal vivo nel breve periodo. Per fortuna questa primavera sarà costellata di molte uscite degne di nota e, per molte di queste, noi di SLQS non vedevamo l’ora!

Inauguriamo maggio con Such Pretty Forks in the Road, l’attesissimo nuovo album in studio della cantautrice canadese Alanis Morissette, in uscita questo venerdì primo maggio a otto anni dall’uscita dell’ultimo album di inediti. Il disco è stato anticipato già lo scorso dicembre dal singolo Reasons I Drink, un pezzo ruvido e trascinante in cui Alanis sembra proprio quella di sempre. Esce il primo maggio anche Gaslighter, il nuovo album del gruppo country statunitense Dixie Chicks, tornate in studio dopo ben 13 anni. Venerdì 8 maggio è invece prevista l’uscita di Petals for Armor, il disco che segna il debutto da solista di Hayley Williams, voce dei Paramore. L’album è stato anticipato da due EP, Petals for Armor I e Petals for Armor II, usciti rispettivamente a gennaio e aprile.

Venerdì 15 maggio è una giornata di grandi uscite. Tornano infatti i Bon Jovi con Bon Jovi: 2020. Si tratta del quindicesimo album in studio per la band del New Jersey e conterrà il singolo Limitless, uscito lo scorso febbraio e già una hit. Esce il 15 maggio anche Van Weezer dei Weezer, un disco che, a detta del frontman Rivers Cuomo, riporterà la band a una dimensione decisamente hard-rock. L’uscita del disco avrebbe anticipato l’attesissimo Hella Mega Tour, il tour che la band di Los Angeles avrebbe portato in giro per il mondo insieme ai colleghi Green Day e Fall Out Boy, il cui destino è al momento incerto. Dulcis in fundo, lo stesso venerdì esce Pick me up off the Floor, di Norah Jones, già anticipato dal singolo I’m Alive. Un album piuttosto dark, che per tematica si colloca splendidamente in questo momento storico: è infatti incentrato sulla solitudine e sul bisogno di connessione tra gli esseri umani. Non vediamo l’ora di ascoltarlo!

Italianissima l’uscita del 22 maggio che vi segnaliamo. Si tratta del cofanetto Fabrizio De Andrè e PFM: Il concerto ritrovato. Il concerto ritrovato é il celebre live di Genova del 1979 in cui Fabrizio De Andrè si esibì con PFM. Le immagini sono state recuperate, restaurate e proposte nelle sale cinematografiche lo scorso febbraio, riscuotendo grande successo. Il cofanetto, pubblicato da Sony Music, uscirà in doppio formato: CD con libretto e doppio LP. Esce lo stesso giorno anche Notes on a Conditional Form della band inglese The 1975, un progetto che si preannuncia molto interessante. Particolare la scelta di aprire l’album con la canzone di protesta chiamata The 1975, brano in cui un pianoforte accompagna un discorso dell’attivista Greta Thunberg sulla responsabilità che ognuno di noi ha nella lotta al cambiamento climatico.

Il 29 maggio è la volta di un altro cofanetto: esce Bowie Years del grande Iggy Pop, contenente le versioni rimasterizzate degli album realizzati in collaborazione con il Duca bianco e altre rarità. Questo mese pieno di uscite si chiude con l’attesissimo ritorno dei The Killers con il loro sesto album in studio Imploding the Mirage, inciso tra l’Utah e la California e anticipato a marzo dal singolo Caution.

Ora tocca a voi! Quali album non vedete l’ora di ascoltare? Ci sono altre uscite che vi piacerebbe segnalarci?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

Che fine hanno fatto #1 – Paolo Meneguzzi

Oggi inauguriamo su Smells Like Queen Spirit la più nostalgica delle rubriche. In Che fine hanno fatto parleremo di artisti che hanno riempito i pomeriggi post scuola di noi ragazzine nate intorno al 1990 e che son pian piano spariti dalle radio. Oggi ripercorriamo la carriera di Pablo ‘Paolo’ Meneguzzi, il sex symbol con la faccia da bravo ragazzo da due milioni di dischi venduti che ci faceva sospirare davanti alla Mtv di un tempo, quella dei video musicali, di Scrubs e Total Request Live. 

Non tutti sanno che la carriera dell’artista Ticinese inizia in Cile. Paolo partecipa infatti al Festival Viña del Mar nel 1996 come rappresentante dell’Italia e lo vince, diventando una star della musica sudamericana. Il debutto in Italia avviene soltanto nel 2001, quando Paolo si unisce alle nuove proposte del Festival di Sanremo con il brano Ed io non ci sto più, arrivando settimo. Non è certo un inizio con il botto, ma recupera quella stessa estate vincendo Un disco per l’estate con la canzone Mi sei mancata.

Nel 2002 pubblica il singolo di successo In nome dell’amore, ma è il 2003 l’anno della consacrazione. Il singolo Verofalso monopolizza le radio, stessa cosa che accadrà con Lei è, il brano dedicato a sua madre. Lei è darà anche il nome all’album, il secondo in italiano dopo Un sogno nelle mani. Nello stesso anno prende parte al Vodafone Live Tour organizzato da RTL 102.5 e partecipa assiduamente al Festivalbar, come anche nel 2004. Il 2004 è anche l’anno della seconda partecipazione al Festival di Sanremo, stavolta nella categoria Big, con Guardami negli occhi (prego) che gli vale il quarto posto nella classifica finale. Torna al festival anche nel 2005 con Non capiva che l’amavo. Non arriva in finale, ma il brano riscuote grandissimo successo. Nello stesso anno esce il terzo album Favola al quale Paolo fa seguire un omonimo tour tra Svizzera e Italia.

La quarta partecipazione al festival è nel 2007 con il brano Musica. Arriva settimo, ma ottiene le lodi di Pippo Baudo, che definisce il brano ‘il manifesto del festival’. Musica è anche il titolo del quarto album, uscito a marzo. Partecipa per la quinta e ultima volta al festival nel 2008, classificandosi sesto con il brano Grande, scritta insieme a Gatto Panceri. Segue a questa partecipazione l’uscita del quinto album, Corro via. Qualche mese dopo calca invece un palco internazionale, quello dell’Eurovision, dove rappresenta la Svizzera con il brano Era Stupendo, arrivando in semifinale. Nel 2009, dopo 8 anni di successi in Italia, Paolo decide di concentrarsi di nuovo sul resto del mondo, tentando una conquista del mercato discografico statunitense con l’album Mùsica, per poi tornare al mercato italiano nel 2010 in una nuova veste elettropop. Esce l’album Miami, anticipato da singolo Imprevedibile. Nel 2011 celebra dieci anni di sfolgorante carriera in Italia con una raccolta, Best of: sei amore

Negli anni successivi la visibilità di Paolo diminuisce considerevolmente, ma il cantante non smette di fare musica. E’ attivo nel mercato statunitense e sudamericano, partecipa all’album benefico di Enzo Iacchetti Acqua di Natale e, dopo diversi slittamenti, nel settembre 2013 esce l’album Zero, anticipato dal singolo Fragile. Fragile porta la firma del cantautore Tony Maiello ed è scaricabile in formato digitale già dal settembre del 2012. Fa parte dell’album Zero anche il brano La vita cos’è, al quale hanno collaborato Matt Howe (tecnico di Elton John, Michael Jackson e di Meneguzzi) e Max Marcolini (chitarrista e arrangiatore per Zucchero). Il 2014 vede Paolo impegnato in una serie di tour: comincia con una mini tournée in Cile, prosegue con l’estivo Fantastico Zero Tour in Italia, chiude con un tour in sud America. Nel 2015 si dedica a un progetto diverso, l’apertura della Pop Music School a Mendrisio, suo paese d’origine, non trascurando la scrittura di nuovo materiale, sebbene limitato ad alcuni singoli sparsi: Sogno d’estate (2016), Lunapark (2018) in collaborazione con il rapper ticinese Maxi B, Estate rock & roll (2018) realizzata con il cantautore Simone Tomassini (che in molti ricorderanno solo come Simone), Supersonica (2019).

Il 3 aprile 2020 pubblica sul suo profilo Instagram un video di qualche secondo in cui annuncia l’uscita del suo nuovo singolo Il Coraggio aggiungendo ironico <<non ditelo a nessuno, tanto nessuno ci crede>>. Il video impazza sui social, tra chi crede sia un pesce d’aprile in ritardo e chi commenta i segni del tempo sul suo volto. Paolo oggi ha 43 anni, è padre e ha persino comprato un bar. Appare certamente diverso da come ce lo ricordavamo ma, si sa, il tempo passa per tutti.

Qui potete vedere il video di Il Coraggio, che Paolo ha girato in casa sua insieme a suo figlio Leonardo.

Anche voi canticchiate ancora le canzoni di Paolo? Quali artisti vorreste vedere prossimamente protagonisti della nostra rubrica?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

5 film sulla musica che non puoi non aver visto

(English version below)

Gli incontri tra il mondo della musica e quello del cinema hanno sempre il loro perché. Dopo i documentari musicali da non perdere su Netflix (che potete trovare qui), oggi abbiamo deciso di proporvi cinque film sulla musica che vi faranno cantare ed emozionare. Prendete i pop corn e mettetevi comodi!

Rocketman (2019). Cominciamo questa carrellata con un film da Oscar. Diretto da Dexter Fletcher, Rocketman si é infatti aggiudicato l’ambita statuetta per la miglior canzone con il brano (I’m gonna) Love me again. Si tratta del film sulla vita di Elton John, interpretato magnificamente da Taron Egerton. Il film ripercorre la difficile infanzia di Reginald, l’amore per la musica, l’ascesa e la trasformazione nella rockstar Elton che tutti conosciamo. Ci vengono mostrati anche i lati meno glamour della scalata al successo, come i gravi problemi con la droga che Elton ha dovuto affrontare nei primi anni di carriera. Un ritratto splendido dell’uomo e dell’artista che non potete perdervi.

Yesterday (2019). Come sarebbe il mondo se non fossero mai esistiti i Beatles? Con Yesterday possiamo farci un’idea. Il film ha per protagonista l’aspirante cantautore Jack Malik (Himesh Patel), che in un mondo dove i Beatles non sono mai esistiti é l’unico a sapere le canzoni. Nel cast anche Ed Sheeran, nei panni di sé stesso. Il film si trasforma mano a mano in una commedia romantica dal finale abbastanza prevedibile, ma in compenso riesce nel tentativo di far ridere e di farci riflettere sull’enorme impatto che i Beatles hanno avuto sulla nostra cultura. Anche le interpretazioni di Himesh Patel dei pezzi dei Fab 4 non sono niente male. La regia è affidata a Danny Boyle.

Quando l’amore brucia l’anima – Walk The Line (2005). Questo film, diretto da James Mangold, è basato sulle autobiografie del grande cantante country americano Johnny Cash, interpretato da Joaquin Phoenix. Ripercorriamo la sua vita prima del successo, l’ascesa e la tormentata relazione amorosa con June Carter, interpretata da Reese Whiterspoon che per la sua performance vinse l’Oscar come migliore attrice. La colonna sonora include i brani I Walk the Line, Cry Cry Cry, It Ain’t me Babe – tutti egregiamente interpretate dagli attori.

Ray (2004). Uno splendido ritratto del cantante e pianista statunitense Ray Charles, interpretato da Jamie Foxx che per questo ruolo si aggiudicò l’oscar come migliore attore. Ray Charles purtroppo non riuscì a godersi il film sulla sua vita: Ray uscì infatti a settembre del 2004, solo 4 mesi dopo la morte dell’artista. Una vicenda che ispira, entusiasma e insegna che il talento e la passione non conoscono ostacoli. Regia di Taylor Hackford.

Tommy (1975). Questo film del 1975 diretto da Ken Russell celebra quella che viene considerata la prima opera rock della storia, l’album Tommy dei The Who, uscito nel 1969. Stilisticamente apprezzato per essere un’antologia del cinema inglese degli anni quaranta-settanta, il film vanta inoltre un cast stellare con grandi nomi del mondo della: Jack Nicholson, Elton John, Tina Turner, Eric Clapton, Robert Powell e gli stessi The Who. Il film racconta la difficile vita di Tommy, che ispirò l’album della celebre rockband britannica.

E voi, avete visto questi film sulla musica? Vi sono piaciuti? Quali sono i vostri preferiti?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

5 movies about music that you should absolutely watch

When music and film meet, the result is always pretty fascinating. We have already posted about music documentaries on Netflix that you can’t miss (you can find them here), today we decided to tell you about five movies about music that will make you sing and get emotional. Get yourself some popcorns and sit back!

Rocketman (2019). We would like to start with an Oscar movie. Directed by John Fletcher, Rocketman has been awarded with the precious little statue for Best Song for (I’m gonna) Love me again. This movie is about the life of Elton John, wonderfully played by Taron Egerton. The movie tells the story of his childhood as Reginald, his love for music, his success and the transformation into Elton, the rockstar everybody knows. We also get to see the less glamour sides of success, like the drug problems Elton had to deal with during the first part of his career. A beautiful portrait of the man and the artist that you can’t miss.

Yesterday (2019). What would the world be like if The Beatles never existed? With Yesterday we can get an idea. The film tells us the story of the wannabe singer and songwriter Jack Malik (Himesh Patel) who, in a world where The Beatles never existed, is the only one that knows their songs. It also stars Ed Sheeran, who plays himself. The movie gradually turns into a romantic comedy with an ending that is also pretty predictable, but it sure makes you laugh and it makes you understand that the impact The Beatles have had on our culture is huge. Himesh Patel’s performances of the Fab 4 songs are not bad at all. The film has been directed by Danny Boyle.

Walk The Line (2005). This movie, directed by Hames Mangold, is based on the autobiography of the great American country singer Johnny Cash, played by Joaquin Phoenix. The movie tells us the story of his life before he became popular, his success and the tumultuous love story with June Carter, played by Reese Whiterspoon, who won an Academy Award as Best Actress for this role. The soundtrack includes I Walk the Line, Cry Cry Cry, It Ain’t me Babe – all wonderfully performed by the actors.

Ray (2004). A magnificent portrait of the American singer and pianist Ray Charles, played by Jamie Foxx who won for this performance an Academy Award as Best Actor. Sadly Ray Charles could not enjoy the movie about his life, in fact Ray was released in september 2004, only four months after the artist passed away. An inspiring and exciting story, it teaches us that with enough talent and passion you can overcome anything. Directed by Taylor Hackford.

Tommy (1975). This 1975 movie, directed by Ken Russel, celebrates what is considered to be the first rock opera of history, The Who‘s album Tommy, released in 1969. The film is considered to be a little anthology of the English film between the forties and the seventies and the cast features some great names of the history of music and film: Jack Nicholson, Elton John, Tina Turner, Eric Clapton, Robert Powell and obviously The Who. The movie is about Tommy’s difficult life, which inspired the famous English rockband to create this record.

Have you seen this movie? Did you like them? Which are your favorite?

Did you like this article? Leave us a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram e Twitter.

SLQS consiglia: dischi italiani da ascoltare in quarantena

Come promesso, oggi Smells Like Queen Spirit Mag vi parla dei dischi italiani che ci stanno tenendo compagnia in queste settimane di isolamento. Nel riflettere su come impostare questo articolo ci siamo sinceramente emozionate: abbiamo infatti realizzato che i dischi che tendiamo a riascoltare in questi giorni sono in molti casi quelli che costituiscono la colonna sonora della nostra parte di vita trascorsa in Italia. Ci emozioniamo perché due di noi (Marika e Patrizia) si trovano all’estero e non riusciranno a rientrare finché l’emergenza non sarà finita, evento che ora come ora è impossibile da prevedere.

La musica in questi giorni diventa quindi molto più che una compagnia. E’ un modo per sentirci più vicine al nostro paese nell’attesa di rivederlo. Ecco i dischi che riescono a compiere questa magia!

Amalia

  • Pooh, The Best of Pooh (1997) perché ‘era il disco che ascoltavo in auto quando mia madre mi portava a scuola, è un ricordo felice e spero che trasmetta felicità anche a chi ora è chiuso in casa’;
  • Riccardo Cocciante, Notre-Dame de Paris (1998) perché ‘cantarne a squarciagola i pezzi libererà tutte le vostre endorfine’;
  • Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, Musica Nuda (2004) perché ‘è grande musica rivisitata da due grandi musicisti’;
  • Finley, Tutto è possibile (2006) perché ‘è uno dei dischi dell’adolescenza e in questi tempi di disagi fa bene pensare a quando il disagio eravamo noi’;
  • Negrita, HELLdorado (2008) perché ‘per me è il disco dell’estate per eccellenza, quello onnipresente in macchina che mi trasmette una sensazione di pace, e mi fa pensare alle strade battute sotto il sole del Salento, piene di campi gialli e l’odore di salsedine nell’aria’.

Marika

  • Ligabue, Buon compleanno Elvis (1995), perché ‘mi trasmette lo stesso calore di quando lo ascoltavo da bambina semi-addormentata sul sedile posteriore della macchina, mentre ascoltavo i miei genitori chiacchierare’;
  • Negrita, Ehii!Negrita (2003) perché ‘ascoltando questa raccolta mi ritrovo in macchina sulla strada per il mare, con un braccio fuori dal finestrino a giocare con il vento’;
  • Antonello Venditti, TuttoVenditti (2012) perché ‘sa di domenica mattina a casa dei miei, di ragù e giochi stupidi con i miei fratelli’;
  • Niccolò Fabi, Una somma di piccole cose (2016) perché ‘quando lo ascolto mi sembra di essere con Niccolò nella casa di campagna dove l’ha inciso – ma se non ho dei fazzoletti a portata di mano devo necessariamente saltare Facciamo Finta‘.
  • Subsonica, 8 (2018) perché ‘mi fa viaggiare anche se non si può: l’ho ascoltato per la prima volta mentre attraversavo il deserto del Rajasthan (India) e mi riporta a quel periodo incredibile’.

Patrizia

  • Pino Daniele, Nero a metà (1980) perché ‘mi ricorda l’infanzia a casa di Zia Rosa, grande fan di Pino, che alle mie richieste di mettere i Backstreet Boys rispondeva che un giorno avrei capito e avrei amato Pino…e così è stato’;
  • Litfiba, 17 Re (1986), perché ‘i Litfiba sono un pezzo di vita e questo album racchiude al meglio la loro essenza – in particolare Re del Silenzio mi ricorda le mie trasferte con la Lupo Rossa e il finestrino abbassato’.
  • Africa Unite, Vibra (2000) perché ‘ho vissuto una relazione a distanza e il mio lui mi dedicava le canzoni di questo disco. Ora che viviamo insieme, lo mettiamo come sottofondo quando cuciniamo’;
  • Alessandro Mannarino, Bar della Rabbia (2009) perché ‘mi ricorda me, scalza e traballante nei prati del campus dopo le feste e un concerto di fine estate durante il quale ho cantato fino a perdere la voce’
  • Ministri, Per un passato migliore (2013) perché ‘la notte che lo ascoltai, consigliato da un’amica, non riuscii più a dormire. Testi splendidi che raccontano la mia seconda adolescenza’;

E tu, conosci questi dischi? Cosa stai ascoltando in queste settimane per viaggiare con la mente?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

SLQS consiglia: dischi stranieri da ascoltare in quarantena

Si sa, sono tempi duri per tutti noi. Preoccupazione, giornate che non sembrano finire mai, impossibilità nello stabilire quando tutto questo sarà finito e tanta incertezza su quello che ci aspetta dopo. Noi ragazze di Smells Like Queen Spirit Mag stiamo facendo del nostro meglio per impiegare almeno un po’ del nostro tempo libero in maniera costruttiva e per rimanere positive.
Uno dei vantaggi dello stare in casa è senza dubbio avere più tempo per scoprire nuova musica e per riascoltare i nostri album preferiti. Ognuna di noi ne ha selezionati cinque tra quelli che abbiamo riascoltato in questi giorni.


Amalia

  • Ella Fitzgerald & Louis Armstrong, Ella and Louis (1956)
  • Led Zeppelin, Led Zeppelin IV (1971)
  • Damien Rice, O (2002)
  • Paolo Nutini, Sunny Side up (2009)
  • Kings of Leon, Come Around Sundown (2010)

Marika

  • Elton John, Elton John (1970)
  • Dire Straits, Making Movies (1980)
  • Amy Winehouse, Frank (2003)
  • Placebo, Covers (2003)
  • Lenny Kravitz, Baptism (2004)

Patrizia

  • The Beatles, White Album (1968)
  • The Rolling Stones, Black and Blue (1976)
  • Peter Frampton, Frampton Comes Alive! (1976)
  • Clash, London Calling (1979)
  • Nirvana, Nevermind (1991)

La prossima settimana vedremo invece i dischi italiani da ascoltare in quarantena. Godetevi la musica, ma soprattutto state a casa!

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

SLQS suggests: records to listen to while you’re quarantining

We all know, we are going through some good hard times. Concern, days that seem never-ending, the fact that no one knows when this is going to end and a lot of uncertainty about what will happen after it will be over. We, the girls of Smells Like Queen Spirit Mag, are doing our best to use at least a bit of our free time in a constructive way and to stay positive.
One of the advantages of staying home is undeniably the fact that we have more time to discover new music and to listen to our favorite records. Each of us has selected five, among the ones we have been listening to these days.


Amalia

  • Ella Fitzgerald & Louis Armstrong, Ella and Louis (1956)
  • Led Zeppelin, Led Zeppelin IV (1971)
  • Damien Rice, O (2002)
  • Paolo Nutini, Sunny Side up (2009)
  • Kings of Leon, Come Around Sundown (2010)

Marika

  • Elton John, Elton John (1970)
  • Dire Straits, Making Movies (1980)
  • Amy Winehouse, Frank (2003)
  • Placebo, Covers (2003)
  • Lenny Kravitz, Baptism (2004)

Patrizia

  • The Beatles, White Album (1968)
  • The Rolling Stones, Black and Blue (1976)
  • Peter Frampton, Frampton Comes Alive! (1976)
  • Clash, London Calling (1979)
  • Nirvana, Nevermind (1991)

Enjoy music and, above all, stay home!

Did you like this article? Leave us a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram e Twitter.

‘Father of All…’. Il nuovo album dei Green Day ci riporta nel 2004

Uscito lo scorso 7 febbraio, Father of All Motherf*****s (anche conosciuto con il titolo censurato Father of All…) è il tredicesimo album in studio dei Green Day, definito ‘very high energy’ dal frontman della band Billie Joe Armstrong in un’intervista rilasciata a Billboard.

La copertina dell’album ritrae una mano che stringe una granata: è la stessa immagine della copertina di American Idiot, lo straordinario disco del 2004 che ebbe un effetto devastante sulla ragazzina che ero all’epoca – riuscendo infatti a influenzare gran parte dei gusti musicali e delle idee sulla musica che ho ancora oggi. Cosa avrà Father of All… a che fare con American Idiot? E’ possibile che il nuovo disco riprenda a raccontarci la storia che si è interrotta con la nona traccia di American Idiot? C’è speranza di rincontrare St. Jimmy, Whatsername e il Gesù dei sobborghi?

In Father of All… non incontriamo nessun volto familiare ma è chiaro che con certe linee di basso, certe atmosfere e certe tematiche i Green Day abbiano cercato disperatamente di riportarci al lontano 2004 (e in alcuni casi anche agli anni precedenti). Ma vediamo i brani nel dettaglio.

La prima traccia Father of All… è il singolo che nel settembre 2019 ha anticipato l’album. Un pezzo punk in your face cantato in falsetto che ti fa venire voglia di alzarti dalla sedia (è uno dei miei pezzi preferiti quando ho il leg day in palestra). La traccia numero due Fire, Ready, Aim è stata utilizzata per l’apertura della National Hockey League. La frase ‘Ready, Aim, Fire’ è usata come indicazione per i soldati su come usare le armi da fuoco ma il problema, scrivono i Green Day nella descrizione del videoclip della canzone su Youtube, è che nella società di oggi si attacca senza prima pensare. Il tema della critica alla società americana che era iniziato in Warning e che era diventato il fulcro di American Idiot si insinua quindi anche in questo album.

La terza canzone, Oh Yeah! prende titolo e ritornello da Do you wanna touch me? (Oh yeah) di Gary Glitters. Stavolta la critica è rivolta alla società tenuta in pugno dai social media (Everybody is a star\ Got my money and I’m feeling kinda low) e dai problemi legati al sistema scolastico e alla detenzione di armi (I’m just a face in the crowd of spectators\ To the sound of the voice of a traitor \ Dirty looks and I’m looking for a payback\ Burning books in a bulletproof backpack). L’atmosfera si fa più leggera e allegra in Meet me on the roof, brano in cui Billie Joe ritorna adolescente sfigato che ha paura di fare la prima mossa con la ragazza che gli piace. Anche nella traccia successiva, I was a teenage teenager, Billie Joe canta dei sentimenti di odio e inadeguatezza della propria adolescenza (I was a teenage teenager full of piss and vinegar \ Living like a prisoner for haters\ I was a teenage teenager, I am an alien visitor \ My life’s a mess and school is just for suckers), sentimenti che erano stati al centro di album come Dookie e Nimrod.

La settima traccia, Stab you in the heart, è una vera sorpresa ma non ho ancora ben chiaro se è bella o brutta. Si tratta di un pezzo incazzato e rockabilly in cui i Green Day giocano a fare i Beatles e vi assicuro che non riesco a descriverla meglio (ascoltare per credere). Il nono brano, Sugar Youth, ricorda terribilmente il brano She’s a rebel di American Idiot e somiglia vagamente anche a Letterbomb. Ancora una volta Billie Joe si trasforma nell’adolescente senza speranze dei primi album (Like a high school loser \That will never ever, ever, ever fuck the prom queen). Arriviamo finalmente a Junkies on a High, la mia preferita di tutto l’album. E’ un brano dark sul tema della distruzione di sè, un brano che ti rimane nella testa e che francamente c’entra poco con il resto dell’album. La linea di basso è quasi identica a quella di Boulevard of Broken Dreams. La traccia numero undici è Take my money and crawl, un brano innegabilmente catchy e in puro stile Green Day ma che non mi dice molto. Chiude Graffitia, la canzone più impegnata dell’album e più spiccatamente politica sulla situazione di declino nelle città della Rust Belt dovuto alla chiusura delle fabbriche, la questione razziale e la violenza che ne deriva.

Cosa penso di Father of All…? L’energia c’è, ma è un album che corre troppo, arraffa, comprime. Sembra voler dire molto, ma di fatto dice poco. Sembra provare a dirci qualcosa di nuovo, ma quello che sentiamo in fondo lo sappiamo già. E’ un album breve fatto di cose già viste, troppo lontano dal monumentale American Idiot, del quale non può per altro assolutamente essere considerato l’erede o il sequel.

E’ chiaro che la band abbia tentato di racchiudere in questi 26 minuti tutto quello che i Green Day sono stati in American Idiot e prima, ma finisce per mettere insieme una serie di cliché spesso mal amalgamati tra loro, uniti a qualche tentativo di innovazione non perfettamente riuscito. Resta comunque un album piacevole da ascoltare, in cui la band rimane riconoscibile per noi fan che li abbiamo ascoltati e amati a cavallo tra il nuovo e il vecchio millennio.

E voi l’avete ascoltato?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

‘Father of All…’. The new Green Day album takes us back to 2004

Released on February 7th, Father of All Motherf*****s (also known as Father of All…) is Green Day’s thirteenth studio album, described as ‘very high energy’ by frontman Billie Joe Armstrong during an interview with Billboard.

On the cover there’s a hand holding a grenade: it’s the same image that appears on the cover of American Idiot, the extraordinary 2004 record that had a huge impact on the little girl I was at that time – influencing a big part of my taste and my ideas about music. What does Father of All… have to do with American Idiot? Is it possible that this new record someway resumes the story that got interrupted in the ninth track of American Idiot? Can we hope to meet St. Jimmy, Whatsername and Jesus of Suburbia once again?

We meet no familiar faces in Father of All… but it is clear that Green Day has tried to bring us back to 2004 (and in some cases even back to the previous years) by choosing certain bass lines, certain atmospheres and certain themes.
Let’s have a close look at the tracks.

The first track, named Father of All, is the single, released in september 2019, that anticipated the album. It’s a falsetto sung punk song in your face that makes you want to stand up (it’s my personal favourite when I have leg day at the gym). Track number two, Fire, Ready, Aim, has been used for the opening of the National Hockey League. The phrase ‘Ready, aim, fire’ is an instruction given to soldiers on how to use their weapons but the problem, writes Green Day in the video description on youtube, is that today’s society attacks without even thinking. The tale of criticism towards the American society that had started in Warning and that had been at the core of American Idiot is also present in this album.

The third song, Oh Yeah! samples the refrain from Gary Glitters’ Do you wanna touch me? (Oh yeah). The band criticizes the part of society that’s obsessed with social media (Everybody is a star\ Got my money and I’m feeling kinda low) and adresses the problems of the American school system and the consequences of gun detention (I’m just a face in the crowd of spectators\ To the sound of the voice of a traitor \ Dirty looks and I’m looking for a payback\ Burning books in a bulletproof backpack). The atmosphere gets lighter and happier in Meet me on the roof, a song in which Billie Joe gets back to the times when he was a teenage loser and felt anxious about asking the girl out. Also in the following track, I was a teenage teenager, Billie Joe sings about the feelings of hate and inadequacy of his own adolescence (I was a teenage teenager full of piss and vinegar \ Living like a prisoner for haters\ I was a teenage teenager, I am an alien visitor \ My life’s a mess and school is just for suckers), feelings that had been at the core of albums like Dookie and Nimrod.

The seventh track, Stab you in the Heart, is a true surprise, even though I still don’t know if it’s a good or a bad one. It’s an angry, rockabilly song in which Green Day pretend to be The Beatles – and I swear I could not describe it in a better way (listen and you’ll know). The ninth song, Sugar Youth, reminds me a lot of She’s a Rebel from American Idiot but it also sounds a lot like Letterbomb. Once again Billie Joe turns into the hopeless teenage boy of the first albums (Like a high school loser \That will never ever, ever, ever fuck the prom queen). We finally get to Junkies on a High, my favourite song of the entire album. It’s a dark song about self destruction, a song that gets stuck in your head and which, honestly, has nothing to do with the rest of the album. The bass line is almost identical to the one of Boulevard of Broken Dreams. Track number eleven is Take my money and crawl, an undeniably catchy and oh-so-Green-Day song that doesn’t add much to the album. The last song is Graffitia, the most political one of the album, about the situation of decline in the cities of the Rust Belt due the closing of the factories, but it also addresses the racial questions and the violence that derives from them.

What do I think about Father of All…? There is a lot of energy, but it’s an album that runs to much, sneaks and compresses. It sounds like it is trying to say a lot, but it ends up saying too little. It sounds like it is trying to say something new, but all we hear is something we already know. It’s a short album made of things we’ve already seen, too far from the monumental American Idiot of which it cannot be considered a sequel or a heir.

It is clear that the band has tried to enclose in these 26 minutes all that Green Day has been in American Idiot and before, but they end up putting together a series of cliches – often not mixed well at all – together with a couple of innovative attempts that haven’t really worked. Despite all of this, Father of All… is a nice record in which the band is still recognizable for us fans that have been loving them and listening to them between the old and the new millennium.

And you? Have you listened to it?

Did you like this post? Leave a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram and Twitter.

I concerti di Febbraio: Stereophonics, Liam Gallagher, Kaiser Chiefs

English version below.

E’ stato un mese breve, intenso, ma soprattutto pieno di musica live. Sono tre gli artisti che sono approdati qui nei Paesi Bassi e si tratta di tre artisti che hanno scritto le pagine migliori della musica rock inglese degli ultimi vent’anni. Non potevo assolutamente perdermeli!

1 Febbraio, AFAS Live (Amsterdam): Stereophonics, Kind Tour 2020
Il mio tour de force è cominciato il primo del mese con gli Stereophonics e la tappa del Kind Tour 2020 di Amsterdam. Kind è anche il nome del loro ultimo album in studio, uscito il 25 ottobre 2019 e anticipato in estate dai singoli Fly like an Eagle e Bust this town. Il concerto è stato aperto da Nadia Sheikh, voce pop e chitarre cattive, che non conoscevo ma che ho apprezzato (qui potete ascoltarla in Flip the Coin). Nonostante il tour si chiami Kind come l’ultimo disco della band, lo show non è per niente costruito intorno a questo disco. Anzi, gli Stereophonics non suonano che due pezzi da Kind che comunque, detto tra noi, è un progetto che poco regge il confronto con quelli precedenti (mi riferisco soprattutto Just Enough Education to Perform e Scream Above the Sounds, secondo me i migliori). In un AFAS strapieno e dall’acustica discutibile, il che causa problemi soprattutto nella prima parte del concerto, ripercorriamo la carriera della band del Galles cominciata ormai quasi trent’anni fa, attraverso hit come Maybe Tomorrow, Have a Nice Day, Mr. Writer e ovviamente Dakota. Tutti bravissimi, ma il frontman Kelly Jones è una spanna sopra tutto e tutti – perfetto, forse troppo. Il tour degli Stereophonics continua nei prossimi mesi in UK, Irlanda e Paesi Bassi. Qui potete trovare le date.

7 Febbraio, Ziggo Dome (Amsterdam): Liam Gallagher, European Tour 2019/2020
Dopo l’uscita dell’ultimo album in studio Why me? Why not nel settembre del 2019, Liam comincia la promozione del disco con una tournée in Irlanda e Regno Unito, per poi approdare dall’altro lato della Manica. Sono stata alla tappa di Dublino a novembre 2019 e ho voluto replicare con Amsterdam, ma fino all’ultimo minuto nessuno sapeva se il concerto si sarebbe tenuto. Solo 48 ore prima, infatti, Liam aveva abbandonato il palco ad Amburgo perché aveva completamente perso la voce. Dopo la band supporto, i fedelissimi Twisted Wheel (qui potete ascoltare la loro Strife), Liam sale sul palco e apre con Rock’n’Roll Star. La voce va e viene – in 48 ore non possono succedere miracoli – ma non sembra essere un problema. E’ il pubblico ad aiutarlo a cantare e nonostante i problemi Liam riesce a regalarci una bellissima versione di Stand by Me, inserita in scaletta contro ogni pronostico. La scaletta è un compromesso tra molti brani degli Oasis e brani tratti dall’ultimo album (che nel Regno Unito ha debuttato al numero 1) come i singoli Shockwave, The River e la meravigliosa Once. Il tour di Liam Gallagher continua in tutta Europa, qui tutte le date in aggiornamento.

17 Febbraio, Tivoli Vredenburg (Utrecht): Kaiser Chiefs, Duck Tour 2020
La band indie rock di Leeds approda al Tivoli Vredenburg di Utrecht il giorno dopo aver registrato il tutto esaurito ad Amsterdam, per una tappa del tour che porta il nome del loro ultimo disco uscito la scorsa estate, Duck. Aprono i Port Noir, svedesi e incazzati, un mix di rock, hip-hop e r&b (not my cup of tea, ma se li volete ascoltare, questa è Flawless). La scenografia è pazzesca: in fondo a destra c’è il capanno che compare anche sulla copertina di Duck, la batteria e le tastiere sono caricate in cima a due gigantesche ruote di trattore, gli amplificatori risplendono e la scritta ‘Kaiser Chiefs’ campeggia in alto a sinistra, fatta di lampadine. Ricky Wilson sale sul palco vestito di bianco (cercherò di non parlare del suo fascino perchè potrei andare avanti per ore) e apre il concerto con People know how to love one another, la prima traccia di Duck. Non ci mettiamo molto a capire che il virus di Gallagher ha colpito anche Ricky perché la sua voce, come quella di Liam, va e viene. E’ lui stesso alla fine della prima canzone ad ammetterlo e aggiunge ‘Mi dispiace, stasera niente Kaiser Chiefs’. Fa per andarsene, poi cambia idea e torna davanti l’asta del microfono. ‘Il concerto ci sarà, ma dovete aiutarmi a cantare’. Vado contro la critica olandese, che li ha praticamente distrutti, e vi dico che sebbene tecnicamente non sia stato il loro migliore live, alla fine il carisma di Ricky (che riempiva le pause tra le canzoni con l’aerosol portatile), la bravura degli altri membri della band e i brani di Duck (un album davvero niente male) hanno compensato la voce assente del frontman. Entusiasmanti durante la performance della loro hit Ruby, perfetti in Record Collection – il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album. Andrò sicuramente a rivederli, magari non nella stagione dell’influenza. Il tour riprende in tutta Europa da aprile, qui le date.

Ora tocca a voi. Che concerti avete visto questo mese?

Ti è piaciuto questo articolo? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.

February’s gigs: Stereophonics, Liam Gallagher, Kaiser Chiefs

This month was short, intense and full of live music. Three great artists have showed up here in The Netherlands, three artists who have written some of the best pages of British rock music during the last twenty years. Could I miss them?

February 1st, AFAS Live (Amsterdam): Stereophonics, Kind Tour 2020
My tour de force started the first day of the month with Stereophonics and their gig in Amsterdam as part of the Kind Tour 2020. Kind is also the name of their last studio album, released on October 25th 2019 and anticipated in the summer by the singles Fly like an Eagle and Bust this town. The show started with a performance by Nadia Sheikh, who brought her pop voice and aggressive guitars. I had never heard of her but I quite appreciated her music (here you can listen to Flip the Coin). Even though the tour has been named after Stereophonics’ last album, the show has not been constructed around this record. The band only played a couple of songs from Kind – an album that, to be honest, cannot be compared to the previous ones. I am talking about albums like Just enough Education to Perform and Scream Above the Sounds, which are the best ones in my opinion. The venue was full and there were some technical issues which caused some problems particularly during the first part of the show. We relived the long career of the Welsh band, that started thirty years ago, through hits as Maybe Tomorrow, Have a Nice Day, Mr. Writer and of course Dakota. The band did great, but the frontman Kelly Jones is a cut above everything and everyone – he’s perfect, maybe too perfect. Stereophonics will go on with their tour in the UK, Ireland and The Netherlands. Here you can find the dates of the upcoming gigs.

February 7th, Ziggo Dome (Amsterdam): Liam Gallagher, European Tour 2019/2020
After the release of the last studio album Why me? Why not in September 2019, Liam Gallagher started promoting the record with a tour in Ireland and the UK and later moved to the other side of the English Channel. I have been to one of the Dublin gigs in November 2019 and I had a great time, so I decided to go also for the Amsterdam gig but until the very last moment no one knew if the gig was going to be on. Only 48 hours earlier, in fact, Liam had left the stage in Hamburg because his voice was completely gone. After the support band, the loyal Twisted Wheel (here you can listen to their Strife), Liam gets on stage and sings Rock’n’Roll Star. His voice comes and goes – miracles can’t happen in 48 hours – but it does not seem to be a problem. It’s the audience that helps him sing and despite the issue Liam delivers a marvelous version of Stand by Me, part of tonight’s setlist against all predictions. The setlist is a compromise between lots of songs by Oasis and songs from his last album (which debuted n.1 in the UK) such as the singles Shockwave, The River and the lovely Once. Liam Gallagher’s tour goes on in whole Europe, here you can find all the gigs.

February 17th, Tivoli Vredenburg (Utrecht): Kaiser Chiefs, Duck Tour 2020
The indie rock band from Leeds went to Tivoli Vredenburg in Utrecht the day after a sold out gig in Amsterdam, part of the tour which is named after the album they released last summer, Duck. The support band is called Port Noir, they’re swedish and seem pretty pissed off, with their mix of rock, hip-hop and r&b (not my cup of tea, but if you want to listen to them, here’s Flawless). The scenic design is awesome: on the back of the stage, on the right side, there is the same hut you can see on the cover of Duck, the drums and the keyboards have been put on a couple of giant tractor wheels, the amplifiers are all shiny and there’s ‘Kaiser Chiefs’ written with led lamps above, on the left side. Ricky Wilson jumps on stage dressed in white (I will try not to talk about how charming he is as I could go on for hours) and sings People know how to love one another, the first track from Duck. It doesn’t take long for us to realize that he must have caught the same virus Liam Gallagher caught, since his voice, just like Liam’s, comes and goes. It’s Ricky himself who admits it at the end of the first song as he announces: ‘I’m sorry, tonight no Kaiser Chiefs’. He heads to the back of the stage, then changes his mind and comes back to the microphone. ‘The gig is on, but you have to help me sing’. I will go against the Dutch critics, that completely destroyed Kaiser Chiefs, and I’ll tell you that even though this hasn’t been their best gig, there’s a couple of things that compensated for the voice problems: Ricky’s charisma (who spent the breaks between songs with his portable nebulizer), the talent of the other members of the band and the songs from Duck (a record which is absolutely not bad). They were amazing during the performance of their hit Ruby and they were absolutely perfect in Record Collection – the single that anticipated the release of Duck. I will definitely see them again in the future, maybe not in the flu season. Kaiser Chiefs will start touring again in Europe in april, here’s the dates.

Now it’s your turn. Have you been to cool concerts last month?

Did you like this post? Leave a comment and follow us on our social media. You can find us on FacebookInstagram and Twitter.

Un treno per il 1963: recensione del concerto dei Bootleg Beatles

E’ tipico di Marika riuscire a provare nostalgia per epoche mai vissute. Quando nel 2018 sono stata a Liverpool e ho messo piede al Cavern Club, ho desiderato intensamente di essere una diciottenne del 1963 che ballava al ritmo del primo album dei Beatles (al punto di tatuarmelo sul braccio, ma questa è un’altra storia).

Un anno fa i Bootleg Beatles annunciavano uno show proprio nella città dove abitavo, e io pensai che fosse arrivato il mio momento. In mancanza di una macchina del tempo, vedere i Bootleg Beatles live è il modo più semplice per tornare agli swinging sixties. Ho acquistato il mio biglietto per lo show del 23 febbraio al Tivoli Vredenburg, a Utrecht, parte di un mini tour dei Paesi Bassi di 6 tappe partito a Groningen il 20 febbraio.

Dal loro esordio nel marzo del 1980, i Bootleg Beatles si sono esibiti più di 4000 volte, diventando una delle band tributo dei Fab 4 più importanti al mondo. Nella prima metà degli anni ‘80 completano un tour di ben 60 date nell’ex Unione Sovietica e nel 1984 vengono invitati negli Stati Uniti per celebrare il ventesimo anniversario dal tour  statunitense dei Beatles. A seguire un tour di 10 date nel Regno Unito nelle stesse venues in cui suonarono i Beatles durante il tour del 1965. L’ascesa continua negli anni novanta, quando vengono invitati dagli Oasis ad aprire alcuni dei loro concerti. Comincia per i Bootleg Beatles un periodo di collaborazioni con volti noti della musica inglese e internazionale (Rod Steward, David Bowie e Bon Jovi, solo per citarne qualcuno). I Bootleg Beatles vantano anche un’esibizione a Buckingham Palace in occasione del cinquantesimo anniversario dall’incoronazione della regina Elisabetta II, nel 2002.

La formazione odierna vede Tyson Kelly nei panni di John Lennon, Steve White in quelli di Paul McCartney, Stephen Hill in quelli di George Harrison e Gordon Elsmore in quelli di Ringo Starr.

Ma veniamo allo show, al concerto, al musical, al documentario (insomma, non ho ancora ben capito come chiamarlo). Le luci si spengono e ad aprire lo show sono le urla delle ragazzine degli anni sessanta in preda alla Beatlemania. Si accende lo schermo con un collage di immagini di puro delirio e nel caos si sentono le prime note di Please, please me. Sul palco appaiono 4 ragazzi in dolcevita nero, stivaletti laccati neri e pantaloni a sigaretta, incredibilmente somiglianti ai Beatles nei tratti e nelle movenze (tutti a parte Paul, tra i quattro il meno simile). E’ la parte dello show dedicata agli anni che vanno dal 1963 al 1965, “Beatlemania conquers the world” (e le canzoni di quel periodo, rimanga tra noi, sono il mio fetish). Le esecuzioni (perfette) di She loves you, I want to hold your hand e l’acustica Yesterday mi hanno fatta letteralmente impazzire. 

La seconda parte dello show, “The end of touring and becoming a studio band”, ripercorre gli anni 1965 e 1966. I Bootleg Beatles indossano giacche beige, le stesse dell’esibizione allo Shea Stadium del 15 Agosto 1965. Anche l’entusiasmo in sala deve essere lo stesso dell’agosto del 1965, mentre la band esegue impeccabilmente successi come Twist and Shout, Can’t buy me love e Day Tripper, prima di fermarsi per l’intervallo. E’ durante questa parte di show che mi accorgo della magia che sta accadendo. Nel pubblico ci sono principalmente settantenni, alcuni con le stampelle, altri con il deambulatore, altri sorretti dal braccio dei propri figli. Ma tutti, dal primo all’ultimo, si alzano in piedi per ballare, anche solo per una canzone. E’ una boccata di aria fresca vederli rivivere la propria giovinezza.

I Bootleg Beatles saltano la parte dello show dedicata alla loro “esplosione psichedelica”, parte normalmente inserita negli show. E’ un peccato, perchè avrei voluto vedere i costumi di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Facciamo un salto temporale che ci porta negli anni che vanno dal 1968 al 1970, “The White Album, Abbey Road and the rooftop concert”. Stavolta i Bootleg Beatles sono vestiti esattamente come sulla copertina di Abbey Road. In questa sezione vengono proiettate le immagini di alcuni degli avvenimenti storici e politici più importanti della seconda metà degli anni sessanta, avvenimenti nei quali la musica dei Beatles si intromette e si intreccia, soprattutto in questa fase della loro carriera. Lo show diventa, a questo punto, anche un po’ un documentario. Il talento di Tyson, alias John, emerge prepotentemente in Come Together, mentre Stephen, alias George, è semplicemente meraviglioso nella mia canzone preferita, While my guitar gently weeps, e mi regala una di quelle esibizioni che non si tolgono più dal cuore.

Chiude lo show la splendida Hey Jude – e qui mi rendo conto che la magia non riguarda solo il pubblico di settantenni. Qualche sedia più in là c’è un bambino, con la mamma e il papà, avrà sette o otto anni. Canta Hey Jude con lo sguardo incantato, mi ricorda che esiste certa musica che fotte il piano temporale, le generazioni, i gusti, le mode, certa musica che smetterà di essere suonata, cantata, amata solo quando tutto questo scomparirà – e nemmeno allora sono certa che succederà. Esiste certa musica che in fondo è la cosa più vicina all’idea di eternità e la musica dei Beatles ne fa parte.

Vi consiglio di tenere d’occhio i Bootleg Beatles se come me avete nostalgia degli anni sessanta – che voi li abbiate vissuti o meno. Qui trovate le date del loro tour, in continuo aggiornamento.

Ti è piaciuta questa recensione? Lascia un commento e seguici sui nostri social. Ci trovi su FacebookInstagram e Twitter.